Quando si partiva da migranti

Intanto si partiva. Era la fine dell’Ottocento, l’inizio del Novecento e poi anni Venti e Trenta: per tutto questo tempo le navi non fecero altro che andare avanti e indietro, su e giù per gli infiniti mari del globo, cariche di chi partiva con il cuore gonfio e la mano in aria a salutare quelli che restavano e sparivano piano piano, cancellati dall’orizzonte. Si partiva per andare dall’altra parte del mondo.

Giovanni a Perth

Se l’Australia appare lontana adesso, tu prova a immaginare nel 1930, quando per arrivare vi volevano giorni e giorni di navigazione. Una lingua totalmente diversa, e non c’era internet per impararla prima o guardare i programmi tv. Tutto era nuovo, sconosciuto e sorprendente. Le strade, le case, i vestiti, la moda. L’altra metà del mondo era terribilmente lontana: più di ora. Perché fino agli anni Cinquanta circa (e proprio la televisione in questo avrà un ruolo fondamentale) esiste un fattore fondamentale da considerare: le notizie arrivano dall’altrove, sono poche e intermittenti. È un mondo che voi non potete immaginare, mi disse una volta un uomo di oltre novant’anni, è un mondo che ora non possiamo più immaginare nemmeno se lo volessimo: immagina di vivere senza ricevere notizie per giorni interi e, quando arriverà la guerra in Europa, persino per settimane intere. Immagina di vivere una guerra e non sapere esattamente ciò che accade, non poter avere alcuna idea su cosa stia succedendo al di là del ristretto perimetro in cui ti trovi tu.

Ma negli anni Trenta la guerra era ancora un’ipotesi lontana. C’era il lavoro, durissimo; la lontananza da casa e la paga settimanale, i divertimenti nati con i compagni trovati per la strada. Perché a venti o trent’anni si sa, tutto è occasione per esplorare, farsi una risata. E trasformare il mondo in avventura. È l’epoca dello swing, nato in America e contrastato dal fascismo.