6 settembre

Di oggi potrei dire

il risveglio con il mal di gola -io- e il tè caldo con il miele e il limone – noi- sul vassoio con il pandoro (sì, il pandoro) spolverato di zucchero a velo e il plaid mentre il sole ancora non si è affacciato

l’espressione di fronte alla prima mora dell’autunno, una, unica, viola. E imparare che il senso del Tempo è quello dell’attesa che serve per permettere al rosa pallido di diventare viola

la polvere che lascia la sabbia, il sole forte sulla pelle nostra e delle piante. La bellezza di una rosa nell’ombra che ormai ha quasi raggiunto il secondo piano e del cancelletto nascosto dai cespugli così vivi e amati dalle api. I bombi che volano ubriachi di dolcezza fra la menta e la malvarosa; i vecchi muri scrostati eppure ogni anno sempre uguali, come le facce della gente che in fondo non cambia mai. Le lucertole minuscole che corrono via fra i sassi e le radici della lavanda, la rucola selvatica e il basilico timido che appena lo tocchi si emoziona di profumo

la luce incredibile di settembre, i pomeriggi ancora lunghi, lunghi come un filo che si dipana dal mattino alla sera tutto in un gomitolo di luce: mai come in questo momento dell’anno, la fine dell’estate, le piante e i fiori sono bellissimi, verdi e vivi fino a quando non soccomberanno come sempre al primo gelo, improvviso anche quando preannunciato.

Potrei dire dei picnic in giardino, della coperta scelta, cercata e stesa – altrimenti che picnic è? – dei piatti portati in coraggioso equilibrio – tu – che poi non vuoi perché dentro non ci sono le stesse cose e in fondo dovevo saperlo che vuoi sempre e solo quello che facciamo noi – questo è quel periodo della vita, a volte ce lo scordiamo, noi sempre sotto la lente della tua instancabile osservazione -. Potrei dire dei bicchieri rovesciati, delle coperte da picnic bagnate, dei canidi viziati ma saggi, dei rimproveri urlati, dei litigi. Di quando litighiamo e ce ne stiamo ognuno in una stanza diversa perché se fai pace solo a parole allora l’altro lo sente e ti dice che questa non è pace per davvero ma non ci puoi fare niente, c’è un tempo anche per questo. E poi chissà come mai la rabbia delle donne è una cosa misteriosa, ci vuole più tempo per scioglierla forse perché è grande come l’amore e ce n’è una per ogni sì detto e all’improvviso si trasforma in tempesta di sabbia che impolvera tutto e trascina via anche le intenzioni migliori.

Poi direi di quando ci si incontra a metà strada. Mentre uno scende qualche gradino e l’altro sale. Non c’è bisogno di dire più niente a quel punto lì, basta farsi l’occhiolino e sorridersi.

Credevo non ti sarei mancata mai più!
〰️ Adesso non sei più arrabbiata, come mai?
Perché l’ho sbollita. E poi perché mi mancavi e ti voglio bene. E poi perché ti ho detto tutto quello che dovevo dirti e se ci diciamo quello che sentiamo importante allora anche la rabbia se ne va.

Ancora, potrei dire delle cadute di metà pomeriggio e degli spaventi, che giornate lunghissime. Delle telefonate con le amiche lontane e delle pagine sfogliate, dei sonnellini saltati e delle azioni spericolate 〰️mammi, mi sono spaventato anche io! – anche tu adesso potresti dire delle cose già dette che ora sai con la forza dell’esperienza, degli annaffiatoi e dell’acqua che rinfresca, del profumo della terra, delle ore che non conosci, delle campane e del mondo su cui ti interroghi.

E poi il profumo del pane che sale per la casa e mette in pace, sempre, aggiusta l’anima e scalda il cuore.
Come gli abbracci.
Come le notti con i piedi vicini vicini.
Come i risvegli con il sole sulla pancia e le braccia buttate al collo