Fra i mulini a vento di Kinderdijk

E poi il vento fra i mulini, che
se arrivi di mattina presto in un febbraio fuori stagione
è tutto chiuso, il negozio di souvenir e il ristorante
invece l’uomo del chioschetto c’è e inizia a preparare perché in Olanda il fritto è un’istituzione e le patate sono sempre e ovunque
i tetti sono di cannarelle, quelle che si muovono scosse dal vento, altissime e sottili. Qui ci sono diciannove mulini, Patrimonio Unesco: sono stati pensati per macinare ma anche per risucchiare quest’acqua che è ovunque e contro cui l’Olanda che ci affonda combatte da sempre, instancabile.

Tu cammini e intanto il sole esce dalle nuvole.

Una coppia di germani nuota senza fretta. Nel canale un’altra coppia di svassi, con le loro crestine rosse, si tuffa in acqua alla ricerca di pesciolini. Il polder è il terreno strappato al mare grazie alla diga: l’erba che ci cresce è verdissima, lo spazio disegnato dai canali.
Accanto, una fattoria e le pecore, che in Olanda sono ovunque e hanno musi che assomigliano un po’ a quelli dei cani.

Camminare in silenzio,
il vento che porta via i pensieri
lo sguardo, che arriva lontano
lontanissimo

Kinderdijk ha un nome strano, ma dentro c’è la parola kinder, che ti fa subito venire in mente “bambino”. Ed è così, secondo la leggenda dopo la grande alluvione del 1420, alla diga arrivò una cesta, con dentro un gatto e un bambino. Kinderdijk, che oggi è famosa per i mulini a vento patrimonio UNESCO, significa questo: diga dei bambini.

Vita nelle Isole Frisone: Den Hoorn aTexel

e mi mette di buon umore svegliarmi
in un mondo
dove
c’è un posto con i mazzi di tulipani freschi che stanno per sbocciare
con accanto un cassetto dove lasciare le monete
la fiducia
nello scaffale di patate, miele, marmellate locali
il barattolo degli spicci
un mondo dove i rifiuti di plastica
si trasformano
in uccelli magici, e in un giardino incantato
c’è una poltrona a dondolo per farti compagnia
ricordati di crearlo tu quel mondo,
con piccoli atti di bellezza quotidiana.
Se vuoi cambiare il mondo

dall’isola di Texel, Den Hoorn

Isola di Texel

isola-texel

ecco, adesso che stai lì di fronte
guarda
il mare immenso
mille volte ci sei annegato,
hai nuotato
stremato
hai sognato, sperato, pregato, bestemmiato
mille volte ti sei salvato, sei morto e risorto.
Quattrocento anni fa, 1615.
sei partito da qui in una giornata di sole
14 giugno sull’isola di Texel
cercavi una nuova rotta e quando dopo giorni e giorni di navigazione avvisterai la terra la chiamerai come casa tua, che Casa è sempre nel cuore.
Horn: adesso ne esistono due, uno in Olanda, uno altrove
al di là dell’oceano

faro-texel-isola

Il faro dell’isola di Texel, che in realtà si pronuncia Tessel, sorveglia dall’alto l’isola. Di notte la sua luce che pulsa come un cuore si vede da lontano,anche dall’altra parte della costa.

Nel Seicento dall’isola partirono molte spedizioni. Uno di questi avventurosi viaggi fu quello che portò il navigatore Willem Schouten a doppiare Capo Horn: scoprirà una nuova rotta nel Pacifico ma sarà accusato di aver infranto il monopolio della Compagnia delle Indie. La sua nave verrà confiscata a Giava e lui, in un altro dei suoi viaggi, morirà in mare, nel Madagascar, dopo aver lasciato, trascritte, preziose mappe. Insieme a lui, alla ricerca di nuove rotte, Jacob Le Maire. Anche lui morirà in viaggio, a bordo della nave “Amsterdam” mentre faceva ritorno
Con le speranze più belle nel cuore e
sulla schiena le paure peggiori,
ci saranno sempre sognatori davanti al mare
a immaginare un oceano più vasto

spiaggia-texel

Passeggiare al mare in Olanda

In posti come Schveningen il mare è sopra, sotto e ovunque
l’acqua sembra più in alto di te che sei lì, in mezzo al vento sulla terraferma, e intanto puoi camminare fino all’orizzonte e questo mare è già qui, dentro la sabbia
cammini sul mare,
sabbia bagnata che riflette e mille conchiglie incastonate. I cani che corrono a perdifiato, la fila dei bar sulla spiaggia chiusi, riapriranno a marzo.
E poi i bistrot dove sedersi a un tavolino di legno e immaginare il viaggio dei pescherecci in partenza, il tramonto, l’aria che all’improvviso si satura di rosa, il legno delle barche lucidato dal sole, dagli anni e dal sale
sei a un passo da L’Aia, la capitale, ma qui è già tutto diverso.
Si vive di azzurro.
Di vento, di cieli immensi.
Allora, lungo la costa, inseguendo il nord,
andare
avanti
fino alla fine del mondo, fino al mare che si tuffa nel mare
e chissà
dove
si
arriverà
?

Schveningen è considerata la spiaggia della città Den Haag, L’Aia. La lunga fila di locali chiude durante l’inverno per lavori e riapre verso aprile: durante la bella stagione puoi venire qui e sederti per un pranzo o lavorare al tuo computer con una tazza di caffè, guardando la linea del mare. Ma se vuoi fuggire dalla folla e trovare la parte più selvaggia dell’Olanda vai,
non ti fermare
sempre dritto, inseguendo la linea della costa che ti porta
verso il margine della mappa
Den Helder,
un centinaio di km e poco più
un posto completamente diverso
scende la sera
un paio di pub che resteranno aperti ancora un po’,
due avventori davanti a un boccale di birra
le luci intense che illuminano gli interni in legno
come un quadro antico.
La strada corre accanto al canale,
chi dorme sulla terraferma e chi su una casa galleggiante
o scende dalla barca, con un balzo e
si mescola fra gli altri.

Poco più in là troverai, sulla destra
l’attracco del traghetto.
Ne partono spesso, anche d’inverno.
Il biglietto è già calcolato di andata e ritorno che
se sull’isola vai, da lì tornerai
è già scritto.

Texel, che in olandese pronunciano “tessel”

ecco di nuovo,
un’altra fine del mondo

finisce la mappa
e tu sei andata oltre il margine

qui inizia il mare e tu ti tuffi
con lo sguardo
solchi le onde
insieme ai gabbiani

davanti al mare

tu, che quando ancora non parlavi, ascoltavi i gabbiani e urlavi il loro verso al mare

tu non te lo ricordi, ma c’è stato un tempo in cui hai visto per la prima volta il mare:
hai guardato il blu,
respirato l’immensità.
Adesso non lo sai più. Eppure il tuo corpo ricorda.
E ogni volta che ci troviamo di nuovo davanti al mare, attratti come falene dalla luce, seguiamo il corpo e ci mettiamo a sedere,
senza neanche sapere perché,
inebetiti e felici
di fronte all’infinito
disteso
azzurro

mare-isole-olanda

Perdersi in Olanda

Dell’Olanda ricorderai…

le strade, quasi ovunque pavimentate, che sembra un po’ di non uscire mai dal vialetto di casa

la mattina quando ti svegli in un giorno in cui il sole esce dalle nuvole ed è proprio una festa che ti mette di buon umore

il sorriso degli olandesi, salutano tutti con calore un po’ come fossero tuoi vicini da sempre. E tutti parlano inglese

le carote, che qui vendono con la parte verde così lunga che ci si potrebbe fare un bouquet

le case, con i soffitti bassi e le finestre così grandi che diventano una vetrata. E tu te ne stai lì davanti, ci potresti stare ore, a guardare in giardino come ci fossi già dentro, e senza neanche uscire di casa immergerti nel viavai della strada di fronte che in realtà di viavai ne ha pochissimo

i cieli immensi, di un grigio incostante, a pennellate di bianco, tono su tono senza fine, mutevoli come la pioggia che appare ogni tanto ma senza invadere troppo, solo un velo

le biciclette, ovunque. Parcheggi doppi e tripli di biciclette, davanti alla stazione che non si capisce nemmeno come si faccia a ritrovarla, poi, la propria bicicletta fra tutte le altre

i bambini, la pioggia e le bici. Tornano a casa da scuola sfrecciando, senza cappelli, né sciarpa con i capelli bagnati e a quanto pare non importa

i corvi. I corvi sono meravigliosi e irreali, di un tipo che in Italia non c’è. Sembrano ritagliati da vecchie illustrazioni di fiabe e invece no, sono reali. Atterrano all’improvviso, si girano e ti guardano. Hanno ali blu e nere come tuffati nell’inchiostro, piccoli occhi come capocchie di spillo che se li guardi impazzisci

le case, tutte strette spalla contro spalla, di mattoncini marroni e rossi. Con la vetrata della sala che dà sulla strada e l’altra vetrata affacciata su quello che in Inghilterra chiamerebbero backyard, il cortiletto del retro, dove ogni casa ha anche una casetta per gli attrezzi e a volte un divano dove stare a guardare le nuvole e bere birrette

i colori, perché non è vero che al Nord non c’è luce. Dietro i giorni di nuvole il sole avvampa il cielo di bianco come una lampadina e fa emergere tutte le sfumature dei toni della terra, dal legno degli steccati alle piante seccherelle di fianco alle porte di casa

i parchi gioco, che qui sono ovunque. Basta girare l’angolo ed ecco qui uno scivolo e un’altalena, tutti sono dentro un cerchio di sabbia così se cadi non ti fai male e ti illudi anche un po’ che sia un giorno di mare

gabbiani, corvi e le cannerelle, che si agitano davanti a ogni casa in ciuffi scomposti. Ognuno l’ingresso di casa lo personalizza in modo diverso ma i cespugli di cannarella con mancano mai. E poi l’erica rosa e piante lasciate allo stato selvaggio. Nei parchi si intravedono già i bulbi che in primavera sbocceranno in nuovi tulipani

gatti. Gatti alla finestra che guardano chi passa, immobili. E perfino portagatti da appendere con le ventose ai vetri delle vetrate, che se fossi un gatto mi sembrerebbe un’ottima soluzione per fare il gatto meditabondo davanti alla strada

le mani fredde ma non troppo e camminare, un isolato dopo l’altro si potrebbe andare avanti all’infinito e scoprire di essere arrivati in un’altra città o forse in un’altra dimensione parallela

il design, che qui tutti o sono qui per studiarlo o lo fanno o ci lavorano, e se ne parla sempre e lo si vede anche, qua e là appoggiato ai vetri che danno sulla strada sotto forma di oggetti bizzarri e a volte indefinibili comunque capaci di portare fantasia nella monotonia del grigio

i mercatini dell’usato, tanti, aperti a giorni alterni, ci trovi di tutto, piccole cose bellissime, giochi, libri, posate, abiti. Hanno prezzi così ridicoli che non ci si crede e creano il circolo virtuoso di uno scambio in cui gli oggetti continuano a vivere, viaggiando attraverso luoghi diversi e persone

✏️ abbiamo macinato circa 1800 km e da qualche giorno siamo a Eindhoven dove vogliamo sperimentare una collezione di momenti di vita olandese con l’amico Erik Campanini che neanche a dirlo anche lui si occupa di design

Perdersi in Lunigiana

metti il cielo limpido del sabato mattina,
due toast, il caffè e tre tazze nel lavandino.
La voglia di una promessa di primavera e
anche se fuori stagione non importa,
vogliamo illuderci
sole da rubare all’inverno.
Passi la selva romanesca e incroci il passo delle Radici, là dove per un attimo sei ovunque:
san Pellegrino sulla testa, a destra direzione Lucca
il mare nella mente, le montagne sul cuore
quest’anno (ancora?) niente neve a san Pellegrino in Alpe, il comune più alto dell’Appennino, in provincia di Modena. Le Apuane, là di fronte, sono di inchiostro azzurro. Castelnuovo è dritto, ma tu a Pieve Fosciana vai a destra, verso Aulla, che ancora non ci si era mai passati.
Pontecosi, Sillicagnana, San Romano in Garfagnana con la sua fortezza e i mulini da dove viene la farina di castagne, tradizione secolare. Qui si coltiva il farro, che è tipico di queste terre.
È una piccola strada sorridente la statale 62. Corre fra prati al sole e borghi. A lato, gruppetti di case con le facciate di sassi, quelli tondi di pietra grigia e liscia del fiume. Si chiamano osterie i bar e hanno menù appesi fuori con tradizioni vecchie di secoli che parlano di mani capaci di impastare confini lontani solo in apparenza.
Che, passo dopo passo, percorri il mondo e cuci insieme i pezzi. Lunigiana. L’Emilia Romagna è alle spalle. Sei dentro la Toscana eppure il movimento ti ha già portato altrove, a dirtelo sono gli accenti e la parlata dentro le parole. È sangue e sguardo di Liguria.
Lunigiana.
In Piazza al Serchio c’è una locomotiva: ci ricorda che questo luogo nel Medioevo fu centro dove tanti fili convergevano, dove si uniscono i fiumi, il Serchio di Sillano al Serchio di Gramolazzo, e la Via Clodia si divide. Crocevia di strade e passanti, incrocio di storie.
Al centro, a un passo dalle case e dalla strada, i binari della ferrovia: fino a Fivizzano, che a parte la Piazza medicea, la chiesa fatta tremare dal terribile terremoto del 1920 e le mura volute da Cosimo de’ Medici è famosa per un altro fatto. La prima macchina da scrivere è stata immaginata e costruita qui. Qui è esistita la stamperia di Jacopo da Fivizzano, una delle prime in Italia e oggi qui, fra le sale del Palazzo Fantoni, c’è il Museo della Stampa.
Dal Medioevo i viandanti in cammino in Lunigiana viaggiano su vie che attraversano boschi secolari, vigneti, fattorie e ponti sull’acqua. In queste terre passa la Via Francigena, la Via del Volto Santo e la Via degli Abati. Le chiese si chiamano pieve e ogni borgo ha la sua osteria.
Le grotte di Equi Terme e l’orto botanico di Frignoli, fino a Aulla, con l’abbazia di san Caprasio: la Strada delle cento miglia, da Luni a Parma. La Spezia all’orizzonte, il mare come una tavola azzurra, inquieto e sciabordante: da Bocca di Magra a Lerici sono nove chilometri, un passo la Liguria e le Cinque Terre, un passo e la lunga marina di Massa, il litorale sterminato fino a Forte dei Marmi. Un bagno dopo l’altro, con i nomi che ne fanno un’epoca e una storia.
Intanto il tramonto. Rosa. Acceso. Interminabile. Solo negli occhi. Seguendo la linea del mare. Il tramonto dura per ore. Scende rapido nella spiaggia di Fiumaretta, si tuffa nell’acqua azzurra e lilla fra le pinete di Massa, emoziona di rosa il cielo del Forte, resiste sulle cime delle Apuane. Resiste a lungo, anche quando il buio incalza e siamo già dentro i tunnel scavati nella roccia della montagna smangiata dalle cave di marmo.
Perché il rosa, colore da femmina, non si arrende. È rivoluzione della gentilezza. Il rosa è nascita, rinascita, primavera, petali sbocciati, dita dell’alba, speranza. Si dipingevano, mi raccontava mio padre, le camere dei malati di cuore e polmoni come suo padre, mio nonno paterno. Perché con il rosa si respira meglio, si respira la dolcezza e la calma, la speranza, il cielo dopo il temporale. Si aprono i polmoni e il cuore. Si porta dentro un frammento di bellezza da conservare per i momenti più duri

Camminare d’inverno

i cani sdraiati nella neve,
a guardare l’infinito
camminare d’inverno,
quando il sole in un attimo sparisce
l’aria che ha una luce viola e arancio
le dita ghiacciate
il gatto nero selvatico che non vedevamo da mesi che riappare all’improvviso e resta a osservarci a debita distanza
il fuoco nei camini, le strade silenziose, i pomeriggi assordanti e poi silenziosi all’improvviso, le tazze di caffelatte, la musica jazz, immaginare un concerto,
fermarsi
immobili
a guardare il fosso che qualcuno al momento pronuncia ffoffo
l’acqua che scorre
innarestabile
fra gli alberi e il muschio
ci rapisce il fluire dell’acqua
lo ammiriamo così, senza far niente
e pensare a come sembrerà strano, come sempre, quando il freddo sarà un ricordo e d’estate avremo di nuovo infradito e gambe nude e nel fosso il ghiaccio si sarà sciolto

14 gennaio ’22