Non importa quanto tempo ci vorrà. La promessa di Tara è di restare. Tutti saranno attesi. C’è tempo. C’è tempo per tutto e per tutti. Tara, che nasce dalle lacrime, è compassione e comprensione del “mancante”. Il principio di Tara è che non si può escludere nessuno dal sistema
C’è una storia bellissima che viene dal mondo Buddhista ed è la storia di Tara.

La più antica immagine di Tara si trova nelle grotte di Ellora, in India. Una delle sue immagini più ancestrali si trova nella grotta 6 (Cave 6, Ellora Caves), ma in Asia è facile incontrare Tara in tanti luoghi. Tara compare in India, Giappone, Indonesia, Cina, in Nepal e in Tibet, dove è conosciuta anche con il nome Jetsün Dölma, che significa “venerabile madre di liberazione”.
Il nome Tara significa “stella” e le storie intorno alla sua origine sono molte. Assomiglia alla figura cristiana di Maria, forse perché in ogni celebrazione del divino esiste il riconoscimento di un principio femminile che è parte della nascita del mondo. Anche Tara è vista e venerata come la madre.
La promessa di Tara è che ognuno di noi si salverà, che c’è tempo sufficiente per aspettare tutti. Possiamo fermarci e non restare indietro
Di Tara non ne esiste una sola, ma 21: è considerata la Madre di tutti i Buddha e una delle Dieci Grandi Forze Cosmiche del Tantra, è l’energia divina della Compassione e della Grazia di Dio. Considerata protettrice del Tibet, il mantra di Tara si recita con queste parole “oṃ tāre tu tāre ture soha” e il senso suona all’incirca così: liberami da tutto ciò che mi spaventa.
oṃ tāre tu tāre ture soha
Che io possa essere liberato da tutto ciò che mi spaventa
Non serve essere buddhista per pronunciare un mantra. In India il sanscrito è considerato una lingua divina che ha la sua azione benefica già solo per il suono delle parole. Ogni preghiera è suono e atteggiamento mentale: è il modo in cui svuotiamo la mente e ci immergiamo nel silenzio a fare la differenza, non importa da quale tradizione venga. In fondo, ogni preghiera è espressione di una diversa parte del mondo ma anche di tutti i viventi. Un fare silenzio che ci ricorda di fermarci e ritrovare il filo che lega il nostro cuore alle stelle e alla terra: il respiro che ci calma.
La nascita di Tara
La storia racconta che Tara fosse una principessa. A questa principessa fiera e curiosa viene detto che non avrebbe potuto raggiungere la liberazione finché nel corpo di donna. Ritenta in un’altra vita. Il corpo di donna è sempre due e non è un caso se la liberazione è concepita al maschile in tante tradizioni: è più facile salvarsi da soli. In due si è meno leggeri, in due si è più lenti e ingombranti. Immaginiamo uno che corre o che stia per annegare, uno che deve scappare da una guerra, uno che si muove in un abisso o anche solo nella vita. Da soli possiamo contare sulle nostre forze e sul nostro controllo, che magari non è tanto ma nemmeno poco.
Il corpo di una donna è progettato per due anche quando non diventa due. Tara non si arrende. La principessa Luna di saggezza, questo era il suo nome, diventa Tara, stella. Secondo un altro racconto mitico Tara nasce dalle lacrime di Dio, Avalokiteśvara, che l’antico monaco viandante e traduttore cinese Xuánzàng traduce dal sanscrito chiamandolo “il Signore del mondo che guarda in giù”. Si dice che Tara sia nata dalle sue lascrime quando Avalokiteśvara, guardando verso il mondo, si accorge della sofferenza in cui si trovano gli esseri umani intrappolati nel ciclo delle esistenze.
La promessa di Tara è di restare. Non importa quanto tempo ci vorrà: Tara, che nasce dalle lacrime, è compassione e comprensione del “mancante”. Il principio di Tara è che non si può escludere nessuno dal sistema e questo in fondo non è semplicemente qualcosa che ha a che fare con l’idea di altruismo: è una legge universale che parte dal nostro corpo.
Quando desideriamo eliminare quella ferita, il taglio si infetta; ogni volta che cerchiamo di non vedere quella cicatrice, lei sembra più grande. Noi cerchiamo di appianare una ruga e la ruga diventa più profonda. Vogliamo cacciare la polvere sotto il tappeto e andare oltre gli sbagli, il tempo perso, compensare le persone mancate, dimenticare la morte e gli appuntamenti bruciati. Ma quel gradino inciampato, quel salto nel vuoto, resta lì e più desideriamo dimenticarlo maggiore è il senso dell’impotenza che ci fa restare in bilico di nuovo. Più vogliamo andare via, più restiamo impigliati. Non resta che guardarci intorno, suggerisce Tara, e aprire gli occhi, le braccia, il cuore.
La promessa di Tara
Se ci fermiamo al trauma tutto rimane lì, bloccato. Il Novecento è stato l’epoca dell’analisi. Ora l’umanità entra in un tempo nuovo, dove le conoscenze del passato e del futuro possono saldarsi. Tutto ciò che accade nei primi anni della nostra vita è indelebile, leggiamo ovunque. Eppure, ciò che ci consegna un’immagine antichissima possiede la forza di una visione differente: Tara è il simbolo di una comprensione che va oltre e risana perché la guarigione non solo ammette la possibilità di errore, ma parte da lì, dalla caduta e dalla perdita. La luce non nega l’ombra ma con immensa generosità la abbraccia ed è allora che il buio si dissolve nell’alba.
Dissolversi, che parola meravigliosa. Un monaco siede per terra, in mezzo alle polveri colorate, impegnato nella realizzazione di un mandala. Alla fine il mandala non verrà distrutto: ogni mandala viene dissolto e la dissoluzione, simbolo della transitorietà della vita, è un momento di celebrazione
Tara viene invocata contro la paura, in Tibet, ed è l’immagine della forza che è capace di tirarci fuori dal buio, dal gradino scosceso che ogni giorno ci sprofonda. Le stelle ci ricordano che alzare lo sguardo è importante e non tutto è perduto: la storia si fa con l’andare, passo dopo passo. Inciampi e salti nel buio compresi.
Ci sono abbracci che salvano la vita, oggi lo sappiamo. Per esempio, quelli dei neonati prematuri tenuti da padri madri e fratelli e sorelle sulla pelle nuda, una terapia di calore al ritmo del battito dei cuori. Le costellazioni familiari parlano dei movimenti interrotti e dell’abbraccio che li ricostituisce. Cucire è una forza vitale. Piantare è una forza vitale: guardarsi negli occhi, perdonare, camminare, costruire, riparare. A volte anche solo, semplicemente, respirare.
Tara ci dice che aspetterà tutti, lei, e ci ricorda che anche noi possiamo iniziare a farlo: possiamo aspettare e cucire, disegnare e unire le parti di noi, anche e soprattutto quelle strappate, mancanti, menomate. Immaginare. Significherà cercare e ritrovare frammenti della nostra storia, integrare ciò che siamo e ciò che vogliamo. Iniziare, almeno di un passo, ad andare verso anziché contro e abbandonarsi alla corrente. Accettare. Espirare e inspirare. Respirare.
Grotta 6 Ellora Cave, India

Le grotte di Ajanta del Maharashtra in India
A cento chilometri da Ellora ci sono le grotte di Ajanta. Qui la pietra diventa viva: le sculture che appaiono sulla roccia sembrano risalire al II secolo a. C. e dal 1983 fanno parte del Patrimonio dell’Umanità Unesco. Sono stati classificati come murales e la loro creazione presenta una tecnica di lavorazione molto particolare.