Il senso della parola “boicottare” ovvero come fare la differenza

Cosa c’è scritto lì?
C’è scritto da dove viene questo pallone: è stato creato in Pakistan. Viene da lontano, da un Paese oltre il mare e le montagne: un Paese antico, con grandi città, vette altissime e vallate verdi.
Sai, ad aver fatto questo pallone potrebbe essere stato un bambino come te.
Come me?
Sì, come te.
Ma tanto tempo fa o adesso?
Anche se i bambini dovrebbero poter imparare, leggere e giocare, esistono ancora Paesi nel mondo in cui i bambini lavorano: è sbagliato, eppure continua ad accadere.
Perché è stato fatto proprio lì?
Perché il Pakistan è un posto bellissimo, ma, come altre nazioni, viene considerato un Paese “povero”: povero non lo sarebbe affatto, perché è ricco di tante cose, ma lì, rispetto a dove viviamo noi, comprare cose costa meno, per noi che veniamo da qui. Per chi vive lì invece la vita può essere molto dura perché le persone vengono pagate pochissimo e anche per questo i bambini, per aiutare tutta la famiglia a sopravvivere, iniziano a lavorare, pagati anche loro pochissimo.
E perché allora questo pallone viene da lì?
Perché ci sono persone, aziende, che vogliono produrre cose, e allora decidono di andare in un Paese come il Pakistan dove sanno che potranno pagare le persone pochissimo così queste persone, queste aziende, potranno produrre cose spendendo meno soldi. Poi torneranno dall’altra parte del mare con i loro palloni e li venderanno ai prezzi che ci sono qui, così da guadagnare molto di più che se lo avessero prodotto qui. E intanto noi avremo pagato questo pallone con una somma di soldi che non arriverà mai fino a chi l’ha davvero creato.
Tante persone si sono chieste come combattere questo meccanismo. Per questo esiste un’azione che molte persone, in tutto il mondo, hanno scelto, e possono continuare a scegliere di fare in casi come questo. Per i palloni e non solo, per tantissimi oggetti che compriamo. Si chiama boicottaggio.
Che cosa significa?
Boicottare è un’azione. Un’azione non violenta di solito: non prevede di picchiare qualcuno o fare del male. Boicottare è una forma di protesta, silenziosa e pacifica. Perché, per esempio, che cosa possiamo fare noi, noi che viviamo da questa parte del mondo, per una persona come noi ma che vive dall’altra parte del mondo in un posto dove viene sfruttata senza avere il giusto riconoscimento? Pensaci. Ci hanno pensato anche millemila persone come te, insieme e prima di te. In mezzo c’è l’oceano, ci sono le montagne. Non posso costringere o fare in modo che gli altri smettano di fare questo. Ma posso scegliere. Posso scegliere se comprare o…
Non comprare!
Esatto. Questo è un potere che abbiamo e possiamo usarlo. Ogni volta che compriamo qualcosa stiamo decidendo chi e che cosa appoggiare con i nostri soldi. Da anni, oggetti come questo pallone o tavolette di cioccolata, ombretti o rossetti, vengono prodotti in modi che a volte non sono belli, né per le persone, né verso l’ambiente o gli animali. Le persone hanno iniziato a informarsi, a condividere e diffondere liste con i nomi di aziende che producono merci sfruttando persone, animali o risorse, in modo da poter evitare quelle e, invece, cercare di comprare da aziende che cercano di favorire il mondo, l’ecologia, il miglioramento personale, la salute di animali ed esseri umani.
Boicottare. Ma che cosa significa questa parola, boicottare?
Non lo crederesti mai, ma dietro c’è… una persona! Un signore, un uomo che ironicamente è stato… il primo della storia a essere boicottato! Charles Cunningham Boycott viveva in un’isola bellissima chiamata Irlanda, dove lavorava come amministratore terrirero per conto di Lord Erne, che possedeva molte terre nella contea di Mayo. Però questo Charles C. Boycott era davvero un pessimo esempio di amministratore: vessava le persone che aveva assunto per lavorare le terre; taccagno ai massimi livelli, cercava sempre di non saldare i conti con i commercianti ed evitare di pagare gli stipendi, o ridurli all’ultimo momento. Così, un giorno, i lavoratori, riuniti nella Land Legue (un’organizzazione irlandese nata per difendere i diritti dei contadini), grazie a un’idea di Charles Stewart Parnel, iniziarono un’azione rivoluzionaria: tutti smisero di avere a che fare con Charles C. Boycott. Ma non solo chi lavorava le terre per lui: fu la comunità intera a smettere di avere relazioni con lui. I commercianti smisero di acquistare da lui; i vicini smisero di salutarlo o rivolgergli la parola, i postini non gli consegnavano la posta e persino in chiesa la domenica nessuno voleva più sederglisi accanto. Non riuscì più a trovare braccianti che raccogliessero i frutti delle terre che amministrava. La protesta silenziosa iniziò alla fine dell’estate, nel settembre 1880: a novembre il governo cercò persino di mandargli cinquanta soldati e cinquanta lavoratori, ma niente da fare. La popolazione della contea di Mayo non si spostò di un centimetro dalle sue posizioni: inamovibile. Così, senza mezzi, con i campi in stato di abbandono, al signor Boycott non restò che andarsene via. Ironicamente, proprio dal suo cognome e dalla sua figura nascerà il termine “boicottaggio”, che ancora oggi è un’azione silenziosa, minima, leggera come un’onda. Un’onda che non diventa tempesta, anzi, al contrario è un’onda che si ritira, un”onda che cessa la sua azione e insieme ad altre, replicata per millemile onde, piano piano lascia all’asciutto territori interi. Ecco il boicottaggio: a volte per fare la differenza non serve travolgere e assaltare. A volte è proprio il contrario, smettere di dare attenzione e alimentare. Per fare la differenza con un’azione silenziosa e tenace, proprio come l’acqua, potente e capace di infiltrarsi là fra le rocce, e sbriciolarle lentamente.



Questo è Charles C. Boycott in una caricatura eseguita da “Spy”, pneudonimo che nascondeva l’illustratore Leslie Ward, celebre per i ritratti satirici dell’epoca. Sì, quello che si legge in alto a sinistra è la fonte: Vanity Fair. La rivista esisteva già! Vanity Fair è stata fondata nel 1868 da Thomas Gibson Bowles, pubblicava satire e biografie di molti personaggi famosi del momento.
Oggi in Pakistan i bambini vengono coinvolti nei lavori agricoli e nell’industria per la produzione di mattoni, tappeti, strumenti chirurgici e articoli sportivi. I palloni di calcio venduti in tutto il mondo vengono prodotti per la maggior parte in Pakistan, in particolare nella città di Sialkot, dove c’è una lunga tradizione nella produzione di articoli sportivi, che qui venivano prodotti già durante il colonialismo britannico. La capacità di realizzare cuciture di alta precisione da parte degli artigiani purtroppo si combina con il osto del lavoro estremamente più basso rispetto ad altri Paesi, dato che rende la città un centro competitivo per la produzione. Oggi producono a Sialkot Adidas, Nike e Puma: ogni pallone richiede circa 700 cuciture a mano.
Quando cerchiamo un pallone possiamo verificare come è stato prodotto: Fairtrade International certifica palloni prodotti in condizione etiche ed è costantemente in contatto con i produttori locali al fine di assicurare standard etici nel lavoro. Ethletic, Altromercato, Wilson Gen Green™ (che include palloni da calcio realizzati con schiuma EVA derivata dalla canna da zucchero e plastica riciclata), Knuckle e Gala sono alcune delle aziende che si impegnano a produrre palloni e articoli sportivi con più attenzione verso l’ambiente e i lavoratori.