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Perché cadono le foglie?

〰️hai visto che c’è una foglia caduta? mi hai fatto notare tu settimana scorsa.

Hai visto che ora la terra si sta lentamente coprendo di foglie secche? ti ho detto io stamattina.

Sono dappertutto e il sole è ancora caldo, ma gli alberi non si ingannano. Il volo delle foglie non si arresta; è come una danza. Il crepitio leggero nel silenzio, mentre anche gli stormi se ne vanno, in lontananza.

〰️ perché cadono le foglie?

Cadono le foglie perché la clorofilla diminuisce e nella foglia appaiono altri pigmenti, come il giallo e l’arancione del carotene. Cadono le foglie perché la luce alla fine dell’estate inizia a diminuire: l’albero lo sente e gradualmente smette di nutrire le foglie. La linfa è come il nostro sangue; attraverso le radici l’albero prende dalla terra acqua e sali minerali che si diffondono in ogni cellula, come accade nel nostro corpo.

Siamo fatti di cellule: sembrano piccole stanze viste al microscopio, sono porte: porte minuscole che si aprono e chiudono lasciando entrare e uscire ciò che ci serve.

Cadono le foglie perché l’albero nella sua istintiva e infinita silenziosa saggezza sa che sta per arrivare l’inverno. Se la neve pesasse sulle sue foglie sarebbe la fine.

Non potrebbe sopportare il peso di tutto e allora lascia andare, in questo sta la saggezza dell’albero. Accetta di lasciar andare il superfluo, si spoglia dell’eccesso: rimane così, nudo e leggero. Essenziale.

È per tutti questi perché che cadono le foglie in autunno. Tempi difficili si affrontano con la bellezza coraggiosa dell’essenziale, forse è questa ispirazione che ci possiamo portare.

Puoi portare sì, ma sopportare fino a un certo punto e anche noi umani dovremmo forse farci più caso.




Arte pericolosa

〰️Mami, guarda forse prima facevi un’altra cosa perché qui c’è un fucile e questo spara ai cinghiali come fanno i cacciatori

Vieni, ti racconto una cosa. Questo innanzitutto non è un fucile ma una pistola, si chiama revolver. E non è l’unica cosa che c’è su questa borsa: c’è anche lui, lo vedi, su questa striscia di tessuto ritagliato come una fototessera. Lui si chiamava Andy.
Andy Warhol. Un giorno una donna di nome Valerie Solanas lo ha incontrato e gli ha sparato. Questo è ciò che racconta la borsa, che l’arte a volte è più pericolosa della guerra. Perché gli artisti la rivoluzione la fanno da dentro, cambiano la storia trasformando la coscienza.

〰️E lui, è morto?

Adesso sì, è passato tanto tempo. Ma non è morto per il colpo di rivoltella. È sopravvissuto e ha continuato a fare quello che faceva: creare. Inventare mondi. Reinventare il mondo che vedeva, questo è quello che fa un artista. Ed è per questo che l’arte fa paura. Perché è più rivoluzionaria della guerra.

La rivoluzione che creano gli artisti è dentro. Una volta che inizia niente è più uguale perché ti insegna a vedere nuovi mondi dentro quelli che già esistono e ti racconta il più grande atto di ribellione: il fatto che puoi percorrerli tutti, non c’è limite alla libertà. Non ha limiti l’immaginazione.

Sul lunedì e sulla mia nuova vecchia borsa, la preferita dell’università, ritrovata nell’armadio .




L’immaginazione è un superpotere

Quando giochiamo al “come se” da bambini, sperimentiamo un fatto straordinario: iniziamo a dare forma ai sogni, ai nostri desideri e bisogni. L’immaginazione è un superpotere perché ci permette di connetterci al mondo del possibile, nascosto, e farlo uscire allo scoperto.

Non sempre tutto ciò che immaginiamo si realizza, ma non è questo il punto. Il punto è crescere sognatori e con questo non intendo dire crescere bambini sognatori, bensì crescere: tu, io, noi, qualsiasi sia la nostra età. Aprirsi all’immaginazione e nutrirla vuol dire sfamare la nostra parte più viva e tenera, entusiasta e sincera.

Qui si parla di viaggi e del viaggiare che è movimento attraverso lo spazio e il tempo. Bellezza che appare all’improvviso, resilienza. Geografia emozionale. Attraverso l’esplorazione del mondo, passo dopo passo, camminiamo il nostro viaggio nella vita. Ci muoviamo nel mondo esplorando i luoghi, una storia dopo l’altra.

Vagabondi nello spazio, non possiamo altro che essere viaggiatori nel tempo. La geografia diventa narrazione del nostro cambiamento, che si dà costantemente. Arriviamo e torniamo, ogni volta diversi, come differente è il meteo delle stagioni intorno a noi e il paesaggio della nostra anima.

Perdersi diventa filosofia di viaggio e di vita. Ci perdiamo viaggiando così come nell’esistenza, ci perdiamo nella bellezza e a volte nell’orrore, nelle guerre del mondo e contro noi stessi. Affondiamo e riemergiamo, ci perdiamo in un bicchiere di vino o fra i libri, in una via sconosciuta. Nello spazio della mente e del tempo. Dimentichiamo per poi riconoscerci in un lampo e ritrovarci, di nuovo.

Ogni giorno è un viaggio che non conosco

A volte con insospettabile lentezza e talvolta con il fiatone, alla rincorsa di noi stessi, inseguiamo il filo della trama dei giorni cambiando a poco a poco. Nel viaggio della vita portiamo valigie di istanti: ognuno di noi ha una valigia che porta sulle spalle. Dentro c’è la strada fatta, ma anche le mappe di dove vogliamo andare. Talvolta pesanti, i ricordi fanno ciò che siamo. Qualche volta perduti, li ritroviamo in un gesto, nell’aroma di un paesaggio, nel flash improvviso di un’istantanea che appare in superficie dalle profondità nascoste dell’inconscio.

Se c’è una cosa che ho capito è che più passano gli anni
più mi tornano in mente cose, eventi, persone, fatti.

Me lo ha raccontato una volta una persona che per mestiere era l’autista. Curva dopo curva, rincorrendo la strada mi ha accompagnato inseguendo il filo della vita: la casa dell’infanzia, la fotografia dei suoi genitori tratteggiata dalle parole e dai ricordi, il matrimonio, i figli e il divorzio, una nuova vita, i sogni del futuro, i fallimenti e le nuove consapevolezza, le speranze. Gli eventi disegnano le tappe del nostro viaggio nell’esistenza e quando li rievochiamo ciò che più importa è l’emozione con cui li abbiamo vissuto.

La macchina del tempo è la nostra immaginazione

Al mattino, mentre ci svegliamo da un sogno, per un attimo sostiamo fra due dimensioni: quella da cui arriviamo, il passato, e le sensazioni che abbiamo sperimentato mentre eravamo là, e il presente, qui e ora. Adesso possiamo vederlo, le emozioni non sempre sono le stesse. Rispetto all’evento nel momento in cui è capitato, oggi potrebbe essere che viviamo e vediamo le cose in modo diverso. Così funziona il ricordo. Elaborare forse significa proprio questo, avere il coraggio di ri/raccontarsi la propria storia e trovare nuovi sensi.

Un tempo si immaginava la memoria come una grande soffitta piena di scatole, ognuna con il suo contenuto di fatti, oggetti, incontri… piano, piano destinati a svanire nel tempo, diventare labili e sfocati come fotografie scolorite dalla luce e dall’umidità. Sì, proprio così. Ricordo la lezione della maestra di scienze delle scuole elementari quando aveva spiegato alla classe il corpo umano: le cellule hanno incredibili proprietà di riparazione e nel corso della vita continuano a crescere e rigenerarsi, tutte tranne le cellule nervose, perché il cervello è una spugna quando abbiamo pochi giorni di vita e cresce nei primi anni, poi più diventiamo adulti maggiore è la quantità di collegamenti nervosi che si perde e lentamente muore, anno dopo anno, come una condanna inevitabile.

Il cervello nasce, cresce, si modifica e ripara: il cervello è plastico

La spiegazione di un cervello che lentamente muore come una lampadina stanca, destinato a bruciarsi inevitabilmente, a me non ha mai convinto, neanche da bambina. Gli anni sono passati ed evidentemente sono tanti altri, come me, a non essersi accontentati. Per fortuna.
Le ultime ricerche in fatto di neuroscienze ci stanno raccontando che il cervello continua a evolversi anche in età adulta: negli anni gli studiosi hanno scoperto che i neuroni continuano a formarsi e rafforzare le connessioni esistenti. Si parla sempre più spesso di attività come la musica, l’arte, lo sport e le esperienze, infatti, in grado di scatenare emozioni positive stimolando la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di modificare la propria struttura nel corso del tempo in risposta alle esperienze. Noi non siamo piccole lampadine destinate a bruciarci. Le esperienze che viviamo creano una trama luminosa di strade che ci permettono di esplorare e vivere il viaggio della vita facendo sempre nuove scoperte: ogni giorno è un viaggio che non conosco.

Il tempo passa veloce e
non ci si deve voltare indietro…
Guardare avanti
e passare nel migliore dei modi
in tutto e per tutto
il tempo che ci rimane

Questo biglietto che vedi nella foto qui sopra, è una delle lettere che ho trovato in fondo a un cassetto dimenticato. Lettere dimenticate e restituite dall’onda del tempo, forse è da qui che è iniziato un nuovo viaggio a ritroso, inseguendo il filo dei giorni perduti e ritrovati.




Immaginiamo la vita come un viaggio

In tutte le culture del mondo l’essere umano ha avvicinato l’idea del procedere dell’esistenza al viaggiare.
Immaginiamo la vita come un viaggio e in questo andare ci muoviamo da un inizio, sfocato nei ricordi, fino alla fine, che non sappiamo quando accadrà. Camminiamo, un passo dopo l’altro, attraverso nuove avventure, persone amate, ostacoli da superare. Al bivio delle scelte immaginiamo percorsi differenti, imbocchiamo strade sconosciute. Cadiamo, ci rialziamo, proviamo una tempesta di emozione. Dal mondo là fuori e negli universi nascosti dentro di noi, troviamo la traccia verso un orizzonte da scoprire, giorno dopo giorno. Le buone idee cambiano il mondo e ci trasformano con il coraggio dell’immaginazione.

Progetto Biblioteca del Tempo

Quello che mi interessa è il tempo. Viaggiamo nello spazio, eppure non facciamo altro che viaggiare nel tempo. Di nessuna geografia possiamo affermare con sicurezza “Già visto”: ogni luogo si modifica, istante dopo istante, nel passare delle stagioni. E noi con lui. Mai sei uguale a ciò che sei già stato, difficilmente torneremo in una certa via o in una città con la stessa valigia di esperienze, emozioni e umori: ogni volta il ritorno segna l’inizio di un nuovo paesaggio dell’anima. Sulla geografia scriviamo la storia delle nostre vite. È un viaggio fisico, sensoriale. Ma viaggiare è anche l’altrove dove non andremo mai. Non basterebbero mille vite per vedere ogni angolo del mondo, per viaggiarlo nei suoi piccoli cambiamenti quotidiani. La rete internet amplia la nostra esperienza di viaggio perché possiamo volare dall’altra parte del mondo nello spazio di pochi istanti. Accade grazie alla nostra immaginazione. E alla condivisione.

Biblioteca del Tempo nasce come collezione di istanti e piccolo archivio di vita condivisa, ispirazione nel viaggio dei giorni

Ogni vita è un libro, ogni vita è un viaggio. Ogni giorno è un viaggio che non conosco. Siamo il sussurro di una voce che vola come una foglia nel vento, splendida ed effimera. Dimenticati dalla storia, scavalcati dal silenzio, tutti noi siamo una biblioteca umana fatta di istanti, momenti di una memoria condivisa che è la mia, la tua, la nostra, della vita che abbiamo vissuto e quella che ha vissuto un altro, uno come noi, migliaia di chilometri più in là, manciate di anni più avanti o indietro.
Una biblioteca fatta di voci, sguardi, uomini e donne, bambini.
Una biblioteca umana dove rintracciare il filo di una traccia capace di avvolgere tutto il cuore del mondo

✏️ Doni un ricordo? Se hai voglia di condividere una memoria scrivi a bibliotecadeltempo@gmail.com oppure usa #bibliotecadeltempo




A cosa stai pensando?

What’s on your mind? / A cosa stai pensando? FB
What’s happening? / Che c’è di nuovo? TWITTER

Chi ha sviluppato due delle piattaforme più famose al mondo per la comunicazione ha tratto dalla vita quotidiana la domanda che al momento, ogni volta che frequenti i social, è internet a chiederci.
A cosa stai pensando?
Ei, che c’è di nuovo?

In fondo, l’essere umano difficilmente inventa di sana pianta. Immaginiamo il futuro a partire dal passato.
Negli anni abbiamo sviluppato un sistema di posta con caselle verniciate e appese sul cancello, a cui poi si sono aggiunte caselle virtuali pronte a ricevere lettere, le mail, con cui comunichiamo per lavoro e (sempre meno) con amici o parenti. Il cassetto della nonna con l’album dei ricordi è diventato un album online, condiviso in maniera più o meno privata e più o meno consapevolmente (qualche volta con risultati preoccupanti).
Le cassette, che occupavano spazio e dopo il troppo ascolto graffiavano l’orecchio perché si consumava il nastro, sono diventati sottili e delicati cd – attento a non graffiarlo – In seguito, dal cd la musica ha trovato il suo posto in una sequenza di canzoni preferite da salvare su una chiavetta, ma ora che di internet abbiamo ricchezza di giga in quantità non serve nemmeno salvare. La libreria è online e la fruizione in streaming. Nel frattempo torna di moda il vinile.

Riscopriamo ciò a cui diamo valore. Gli oggetti capaci di trasmettere le nostre storie diventano importanti.
Come i libri. Si sperimentano più spesso opere da trovare online e scaricare sul tablet. I perché sono tanti: occupano poco spazio, si possono leggere anche al buio mentre addormenti i figli la sera, a volte ti fanno trovare qualcosa di introvabile nel posto in cui vivi ma che esiste da un’altra parte del mondo e ti basta un click per raggiungere.
Ma continuiamo a comprare parole di carta, soprattutto i libri quelli belli, quelli che questo qui, sì lo voglio proprio avere in casa, lo voglio rivedere, toccare, rileggere. La bellezza è intramontabile e ne vogliamo di più. Meno giornali forse perché hanno il temporaneo iscritto nel dna e allora sì, apro il borsellino ma solo a certe condizioni, magari per una pubblicazione che è speciale, che vale la pena per i contenuti o il tipo di stampa.

Vale la pena? La domanda di sempre. Vale la pena
Cos’è che per me vale la pena?

Esiste un processo di smaterializzazione e al tempo stesso oggi più che mai siamo attenti alle tracce.
Nel 2015 Facebook ha introdotto la funzione “memories”, “ricordi”.
Che tu ne sia solleticato o meno, oggi decidi di entrare, ovvero fare login (per inciso, si fa sempre meno e l’esperienza della rete diventa sempre più un fluido in cui siamo perennemente a mollo, un gomitolo che ci si aggroviglia intorno), magari te ne sei scordato, invece no. Implacabile, la memoria di ciò che hai fatto o detto, ritorna. Con puntuale esattezza.
Proprio oggi, un anno fa… due anni fa….nel 20xy eri qui, ti sentivi così, volevi comunicare questo.
I nostri pensieri ritornano. È ancora ancora quell’attimo lì, preciso intatto.
Le fotografie di un tempo sbiadivano nel cassetto e chissà che cosa provavamo, che cosa abbiamo detto esattamente.
Non lo ricordiamo più.
Invece, i ricordi oggi qui nel mondo di internet ci ricordano ciò che può persino capitare di non riconoscere più.
Davvero mi è successo di pensare questo? Accidenti, non me la ricordavo quella giornata. Eppure sì, adesso lo vedo: quella foto lì, quei colori. Le parole che avevo scritto mentre facevo questo o quello, ero con quella persona lì. Accidenti.
La polaroid di un attimo eterno, anche se ormai irrimediabilmente passato, ci costringe a un esercizio della memoria continuo.

A cosa stai pensando? incalza e la nuvoletta è come quella dei fumetti, bianca, la devi riempire tu. Ti chiama per nome e ti incalza a dire quello che ti passa per la mente, con quello che stai vivendo veramente. E dillo, una buona volta. Accidenti, sii sincero, la domanda da un milione di yuan, come diceva il mio prof di storia dell’arte del liceo, che chiunque ha fatto almeno una volta, o dodicimila, a una persona: a cosa stai pensando? E non dirmi niente perché non è vero.
Sforzati. È richiesto uno sforzo, un esercizio che questa volta non è di memoria ma di sincerità. Se lo fai veramente, se tu veramente scegliessi di farlo, potresti persino tirar fuori qualcosa, qualcosa di buono e sincero su ciò che vivi, ciò che stai vivendo adesso, su come ti senti e quello che vorresti comunicare all’altro.
L’altro che è poi un amico, o tale dovrebbe essere, nel mondo inventato da questo social nato in un’università e diffuso, un anello dopo l’altro, fino a te, me, noi. Una cerchia che vuole essere chiusa, in alcuni casi più permeabile, in altri sigillata, di gente che si conosce e si riconosce, si cerca e qualche volta, ma solo qualche volta, interagisce condividendo ciò che sa, ciò che importa, ciò a cui dà valore.

Da una parte esercizio introspettivo, o se non altro esplorazione orientata verso l’interno delle proprie vite, dall’altra spazio che porta fuori, a un esterno che diventa piazza del mondo intero, anzi molto di più: una piazza virtuale dove si affacciano edifici di ogni nazione. A ritrovarsi qui sono navigatori che parlano mille lingue, si incrociano attraverso merci e discorsi. La scia delle parole li porta a incrociarsi, magari solo per un incontro fugace oppure chissà, per rivedersi o magari anche inseguirsi e seguirsi, il cinguettio di un uccellino che ormai abbiamo imparato a conoscere, quello che spunta ogni mattino sul davanzale di casa.

Che succede là fuori, cosa c’è di nuovo?Una domanda da bar, da sala d’attesa; sconosciuti uno di fianco all’altro, seduti sulla stessa notizia che è poi questo alla fine che li accomuna:il motivo per cui sono qui, quello che li ha fatti fermare un attimo.
Tu che cosa cerchi? Perché ti trovi qui?
E allora succede che se condividi, ma condividi veramente accade di esporsi sul serio; sogni, mancanze, lotte, bisogni. Quello che vuoi, quello che ami e per cui lotti a guardare bene lo cercano in tanti. Ce ne sono tante di persone come te e se segui il filo le trovi, le puoi scoprire sulla scia dell’odio oppure tessendo trame capaci di cambiare il mondo.
Perché il mondo si cambia anche attraverso le parole, le idee. Anche attraverso le piccole cose, i sogni. Anche attraverso la poesia, i gesti del quotidiano.

Condividere moltiplica ciò che siamo e vogliamo, lo espande.
Aggiunge all’energia potenza e risoluzione

Di che cosa è fatto un ricordo?

L’etimologia della parola ‘ricordo’ viene da cor, cordis: cuore.
Sì, sono esistiti popoli antichi, come gli Egizi, che ritenevano il cuore la sede della memoria.
Ma no dai, ora lo sappiamo. È il cervello. Qui dentro, in questa scatola nera che chiamiamo cranica, c’è un gheriglio che contiene tutte le nostre informazioni.
Fra l’altro ha proprio la forma di una noce, che strano.
Due emisferi collegati da un corpo calloso. Un tempo, in realtà non molto tempo fa, si pensava che queste due parti fossero ben distinte e ognuna con le sue funzioni. Oggi sappiamo che queste differenze che per secoli abbiamo cercato di mettere in ordine, destra, sinistra, razionalità, creatività, ordine, caos, in realtà giocano a nascondino e si scambiano, si rincorrono. Parlano di un mistero molto più grande in cui tutto si trasforma.
A raccontarlo sono anche le storie di chi si è fatto male, di chi è sopravvissuto e si è trasformato a causa di malattie per cui abbiamo dovuto inventare nuovi nomi. Più lo si studia, più il cervello sfugge alla classificazione di parti ben divise e organizzate, ognuna con la sua funzione. Dentro, si rigenera, evolve, cambia.
Una parte può soccorrere l’altra. Come accade alle piante, la natura ci insegna che certe incredibili armonie nascono dalle tragedie di qualcosa che spezza lo sviluppo ordinario.
Ed da lì che si riparte. Un tronco contorto, la vena di un ramo che si arrampica attraverso le sbarre che gli avevano precluso la luce, anelando luce e aria, almeno quanto basta per continuare a vivere.

Il cervello vive di misteri che ancora non conosciamo e forse non conosceremo mai del tutto.
Ma continuiamo a cercare. A fare domande.
Sì, tanto tempo fa si costruivano immense tombe di pietra e dentro ci mettevano a riposare i defunti con intorno tutto ciò che sarebbe servito per il viaggio nell’aldilà.
Il cuore, però, veniva nascosto in un’anfora.
Una volta attraversata tutta la notte sulla barca del dio Ra, il sole, una volta passati i cancelli che dividevano il mondo di qui dall’altro di là, allora sarebbe arrivato Anubi, dio della morte e dei cimiteri, ululato solitario nell’oscurità.
Maat, dea della giustizia e della verità, allora avrebbe fatto la sua comparsa arrivando in punta di piedi, con le grandi ali spiegate e la sua tunica di luce dorata come l’alba. Si sarebbe sfilata la lunga piuma bianca dalla fascia che le cingeva la testa e sfiorando la bilancia l’avrebbe appoggiata lì.
Su un piatto la piuma di Maat, sull’altro il cuore. Così si raccontava nell’antico Egitto.
Solo se il cuore fosse risultato più leggero, allora chi aveva lasciato la vita avrebbe potuto proseguire il viaggio senza tornare indietro.

La memoria del cuore: le ultime ricerche in fatto di neuroscienze spiegano che è l’ultima a rimanere.
Resta con noi sempre, fino alla fine.
Dimentichiamo come si fanno le cose, a cosa servono; un malato di Alzheimer si perderà cercando quali strade e vestiti indossare. Le mappe, le mappe geografiche che abbiamo disegnato con i nostri spostamenti nel mondo e le mappe che chiamiamo cognitive, fatte delle strade scoperte durante la vita e registrate dentro di noi, si sfocano, non concidono più.
Eppure continuiamo a ri-cor-dare. Ciò che torna a galla increspando la superficie del nostro cuore è ciò che ci ha emozionato, ciò che nel bene o nel male ha contato. Che cosa vale la pena per te?
La domanda che porta avanti le nostre giornate, i progetti, o quella che ci neghiamo; l’interrogativo muto che a volte preferiamo saltare, quello che ci fa salire sulla bilancia e fare i conti con noi stessi.

Dagli abissi del nostro cuore emergono frammenti, fugaci come un lampo.
Istanti, momenti di tempo non importa quando.
Per un attimo è ancora lì, vivo
presente. Il ricordo
accade sempre adesso

I ricordi sono miei, sono tuoi. Sono per ognuno diversi.
Ma fanno parte di un’unica storia che si perde in mille fili.
I fili sì, hanno colori diversi. Diverso spessore, materia, provenienza.
Eppure i nostri ricordi disegnano una mappa che conosciamo bene.
Infanzia. Casa. Paura. Sogno. Pericolo. Avventura. Crescita. Famiglia. Amici. Case. Mani. Sguardi.
Quante parole potremmo aggiungere.
Ogni parola è un mondo intero, il mondo che abbiamo vissuto. Ognuno una prospettiva diversa, ognuno parte della grande strada che alla fine percorriamo tutti. Siamo storia nella grande Storia del mondo e camminiamo nel viaggio della vita, ciascuno con il suo passo.
E poi guarda che buffo, se spacco una noce a metà vedo un cuore.

La Biblioteca del Tempo desidera diventare questo: un posto dove raccogliere i nostri ricordi.
Quei momenti unici, a volte insignificanti, quelli in cui il cuore si è fermato e ancora oggi batte forte quando siamo lì.

✏️ Doni un ricordo? Se hai voglia di condividere una memoria scrivi a bibliotecadeltempo@gmail.com oppure usa #bibliotecadeltempo




Partiamo per un’avventura?

〰️guarda mamma, una foglia caduta

sì, la prima figlia dell’autunno che vola nell’aria, me l’hai fatta notare tu qualche giorno fa

la sorpresa di mille farfalline azzurre sull’erba medica fiorita, si confondono con il viola del prato e volteggiano,
come minuscoli petali leggeri portati dall’aria

il biancospino un tempo profumato, ora tornato nel periodo dell’anno in cui è verde cespuglio dalla bellezza spinosa e discreta, che non si fa notare se non a sguardo attento

le foglie grandi e ovali del noce, profumatissime quando le strofini fra le dita: gli alberi ancora verdi, ma già con qualche punta di giallo

fermarsi a osservare una strana pianta spinosa e il ragno che vi ha trovato casa

osservare il muschio, interrogarsi sulle direzioni e rifarle con il corpo, braccia e gambe a orientarci verso mondi diversi

giocare con la terra, scoprire che con il fango si impasta, creare torri di sassi, fermarsi a seguire il percorso di un insetto.

Oggi mi dici 〰️partiamo per un’avventura? Mi torna in mente così, con la meraviglia della parola AVVENTURA che all’inizio dell’esistenza è la scoperta a guidare la giornata.

Avventura, senti che suono mentre lo dici.

Ogni giorno è un viaggio che non conosciamo, ogni giorno c’è l’andare. Immaginare, trovare, osservare. La magia della scoperta è nel toccare, sperimentare, nel fermarsi. Vedere attraverso la pelle. Crescere esploratori è un’attitudine, ovunque saremo




Armonica a bocca

“Poi accarezzava la sua armonica a bocca, lustrandola col fazzoletto. Era davvero strano vedere un uomo così grosso suonare uno strumento così piccolo. Ma appena si metteva a soffiare dentro quell’oggetto, era in grado di risvegliare motivi venuti da altre acque, da altri asfalti, da altre vite”

Davide Van De Sfroos

Quando è stata inventata l’armonica a bocca? Esistono l’armonica diatonica e l’armonica cromatica, con un tasto per il semitono. Sembra che l’armonica a bocca così come la conosciamo sia stata inventata nel 1821 dal tedesco Christian Friedrich Ludwig Buschmann, che registrò il brevetto di questa invenzione quando aveva sedici anni. Chiama la sua invenzione “aura” e la descrive così: “un nuovo strumento semplicemente straordinario. Nella sua interezza misura 4 inches di diametro… ma è possibile ottenere venti note e tutte dal ‘pianissimo’ al ‘crescendo’ senza avere bisogno della tastiera, armonia di sei toni, e abilità di poter tenere una nota tanto a lungo quanto lo si desidera“. Si trattava di un piccolo strumento in acciaio: qualche anno dopo, nel 1826 un liutaio di nome Joseph Richter introdurrà un importante cambiamento. Infatti, modifica la struttura dello strumento creando due porta ance separate, una per le note soffiate e una per le note aspirate. Nasce l’accordatura standard dell’armonica diatonica detta accordatura Richter.

“La cosa è un po’ vaga ma diciamo che a differenza di tutti io soffiavo più note di quante ne aspirassi. Ovviamente il modo corretto di suonare l’armonica blues era quello di Little Walter o Sonny Boy Williamson, i quali aspirano la maggior parte delle note; io invece di preferenza soffiavo, perché ero l’unico a fare una cosa del genere. Ecco come venne fuori il mio caratteristico sound di armonica e chitarra, che non avevo mai sentito fino ad allora: quasi per caso…”

Bob Dylan

La prima fabbrica di armoniche a bocca

Credits. Seydel

Nel 1857 nasce la prima fabbrica di armoniche a bocca grazie a Christian August Seydel a Klingenthal, in Germania. Ancora oggi questa antica fabbrica nella regione della Sassonia continua a realizzare armoniche a bocca che giungono in ogni parte del mondo. I figli di Seydel, Richard e Moritz viaggiano verso l’America e così l’armonica attraversa l’oceano.

Arriva la guerra, prima il conflitto mondiale del ’15-18 e poi la seconda guerra mondiale. Una piccola armonica a bocca, per cui basta una tasca, è l‘unico strumento che i soldati possono portare con sé. Immagina una lunga notte di colpi e le attese interminabili, i vuoti di tempo che ogni guerra porta con sé e la nostalgia di casa: la melodia di una voce che si infila fra i fori di acciaio e arriva come il filo sottile di un pensiero che vola.

Credts: Seydel

Durante la seconda guerra mondiale gli uomini sono chiamati al fronte e sono le donne a condurre l’azienda, Margarete Seydel insieme a Hedwig Bischoffberger. Cosa accade successivamente? Come tante aziende e famiglie la storia del singolo viene scossa dalle onde di una storia più grande. Nel 1949 vengono dichiarate indipendenti la Repubblica Federale Tedesca e la Repubblica Democratica Tedesca, controllata dall’URSS. Sotto l’occupazione sovietica l’amministrazione della fabbrica è governativa. Bisognerà attendere la riunificazione della Germania perché l’antica fabbrica torni nelle mani della famiglia, nel luglio 1991. Inizialmente i tempi non sono facili e la direzione viene dichiarata insolvente a causa dei debiti: nel novembre 2004 la situazione diventa di pubblico dominio. Ma accade un fatto straordinario. Quando nessuno se lo aspettava compare un investitore disposto a credere nella lunga tradizione di questa produzione, Niama Media. Così, la storia continua…

Perdersi a Klingenthal

A proposito, il posto dove ha sede la fabbrica di armoniche Seydel possiede una storia molto speciale. Sì, perché la città di Klingenthal, che è circondata dal parco naturale Erzgebirge, è a 150 km da Leipzig, Lipsia, e a 50 km dalla città termale ceca di Karlovy Vary, così vicina alla Repubblica Ceca che la linea di confine si confonde lungo la strada di un paesaggio, architettonico e umano, che prende suggestioni diverse e ritmi capaci di ballare insieme una danza attraverso il tempo.