Edmund Hillary e Tenzing Norgay – credits: Royal Geographical Society
Adesso immagina di allacciarti gli scarponi, fuori è ancora buio. Ti tremeranno le gambe oggi, mentre ti arrampicherai su per quelle rocce. Ma lo sai, lo sai che ce la farai. Lo sai da quando eri il più gracile degli altri ma a sedici hai scoperto di essere anche il più resistente. Perché la vera forza è quella della tenacia. Chi si arrampica lo sa. Lo sa chi esplora nuovi mondi, chi non demorde, chi continua a sognare.
Tenzing Norgay fotografato da Edmund Hillary – credits: Royal Geographical Society
Ecco, adesso immagina il mondo visto da lassù. Il sole in faccia. Il bianco accecante. Il ghiaccio e la neve. L’infinito che ti toglie il respiro dopo la fatica immensa. L’energia che ritorna nell’adrenalina della felicità. È il 29 maggio 1953.
“Non sono le montagne ciò che conquistiamo, ma noi stessi”
Edmund Hillary
Edmund Hillary, neozelandese, e lo sherpa Tenzing Norgay raggiungeranno la vetta dell’Everest, per la prima volta. Restano sulla cima per quindici minuti prima di ridiscendere. Per evitare le speculazioni e guerre politiche decideranno insieme di non rivelare chi dei due per primo mette piede sull’Everest (sarà l’autobiografia di Tenzing a svelarlo dopo trent’anni): non è importante, dirà Edmund, non è importante chi arriva primo. Importante è chi c’è al tuo fianco quando hai paura e rischi di cadere. Perché senza darsi una mano a certe vette non si arriva, ecco una storia che potremmo imparare.
Il 5 maggio 1978 viene recapitata una lettera a Eleonora Chiavarelli: è l’ultima, scritta dal marito, Aldo Moro, che morirà quattro giorni dopo.
“Mia dolcissima Noretta,
dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sé e dell’incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l’indirizzo della mia vita. Ma ormai non si può cambiare. Resta solo di riconoscere che tu avevi ragione. Si può solo dire che forse saremmo stati in altro modo puniti, noi e i nostri piccoli.
Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della D.C. con il suo assurdo ed incredibile comportamento. Essa va detto con fermezza così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso. E’ poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall’idea che il parlare mi danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare. E questo è tutto per il passato.
Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande, grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Per carità, vivete in una unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni e cari amici, che ringrazierai tanto, per le vostre esigenze. Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto anto Luca) Anna Mario il piccolo non nato Agnese Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo.
Noretta dolcissima, sono nelle mani di Dio e tue. Prega per me, ricordami soavemente. Carezza i piccoli dolcissimi, tutti. Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio di amore a tutti.
Aldo”
“Gioia si chiama la forte molla
che sta nella natura eterna.
Gioia, gioia aziona le ruote
nel grande meccanismo del mondo.
Essa attrae fuori i fiori dalle gemme,
gli astri dal firmamento,
conduce le stelle nello spazio,
che il cannocchiale dell’osservatore non vede”
Nona sinfonia in Re minore, Op. 125 di Ludwig van Beethoven – IV movimento
Dall’Inno alla gioia di Friedrich Schiller
Nel 1809 Vienna è presa d’assedio.
Il 22 maggio nel piccolo comune di Aspern, non lontano da Vienna, si combatte. Sono le truppe di Napoleone, che cerca di attraversare il Danubio e conquistare il controllo di Vienna. Si combatte da quattro giorni, senza sosta, fino a quando francesi e austriaci si trovano a tiro di pistola, faccia contro faccia.
Batteranno in ritirata i francesi, ma tenendo in pugno due postazioni strategiche, l’isola di Lobau e Vienna. Nel frattempo, nella capitale austriaca c’è rumore infernale. Dal 12 maggio i soldati francesi occupano Vienna.
Il bombardamento di Vienna, 11 maggio 1809. Opera del Barone Louis Albert Bacler D’albe, cartografo
In uno scantinato un uomo si nasconde dalla guerra, le mani sulle orecchie. Cuscini, che premono forte sui timpani, ma non riescono ad attutire il boato tremendo della pietra che si sbriciola. Cannoni nella notte, urla, calpestio di chi corre urlando e carri.
È Ludwig van Beethoven, 39 anni. Da quando ne ha 27 combatte con la sordità.
Se credi che il mondo di un sordo sia di silenzio ovattato ti sbagli. Quello sperimentato da Beethoven si chiama fenomeno del recruitment: duna distorsione che mette in crisi la percezione uditiva, la differenza fra l’intensità oggettiva dello stimolo e quanto viene effettivamente percepito dal soggetto. La testa esplode. Di solito percorsa da un bisbiglio costante in cui è sempre più faticoso riconoscere le voci, i colpi delle cannonate la spaccano, ne fanno mille pezzi.
Per anni cerca di tenere segreta la malattia: sordità che lo isola dal mondo, dalla musica e persino dalla percezione di se stesso. Scrive. I Quaderni di conversazione diventeranno il suo modo per comunicare, ma già in una lettera del 1801 Ludwig van Beethoven scrive:
“devo confessarti che conduco una vita infelice… sono due anni che evito qualsiasi compagnia, perché non posso dire alla gente che sono sordo… Il dott. Franck mi ha curato con olio di mandorle, ma senza alcun effetto… poi mi ha prescritto tè per gli orecchi, ma questi sibilano, e sento un brusio giorno e notte… Posso dirti che la mia vita si trascina miseramente, se avessi un’altra professione la mia infermità non sarebbe così grave, ma nel mio caso è una menomazione terribile! Devo mettermi accanto all’orchestra, altrimenti non odo le note acute degli strumenti e delle voci posso udire i toni di una conversazione ma non le parole, e se qualcuno grida non lo posso sopportare”.
Johann Nepomuk Maelzel, inventore del metronomo, realizza un cornetto acustico per Ludwig van Beethoven che di strumenti con cui sentire ne ha diversi, fra cui una bacchetta di metallo in ottone che posiziona a contatto con la tavola armonica del pianoforte e tiene fra i denti in modo da avere una percezione fisica diretta delle vibrazioni del suono. È lo stesso principio degli amplificatori acustici di moderna generazione, per trasmissione ossea.
Nel 1817 la società Filarmonica di Londra commissiona quella che diventerà nota come Sinfonia corale, sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra op. 125. L’ultima sinfonia di Ludwig van Beethoven, la prima a prevedere il coro. Nasce dall’Inno alla gioia del poeta tedesco Schiller. Nel 1972 sarà adottata come Inno europeo, nel 2001 lo spartito e il testo vengono dichiarati dall’Unesco Memoria del mondo.
La prima della Nona sinfonia sarà il 7 maggio 1824 al Theater am Kärntnertor di Vienna. Il compositore inizialmente aveva pensato alla piccola sala del Ridotto, ma gli amici lo convincono a scegliere il teatro. A condividere il palco con lui il maestro di cappella del teatro Michael Umlauf,che ufficialmente dirige la sinfonia. Il maestro girava le pagine dello spartito. Gesticolava furiosamente, dirà il violinista Joseph Böhm: “si muoveva come se volesse suonare tutti gli strumenti da sé e cantare per conto dell’intero coro”. Che esperienza è dirigere una sinfonia che non puoi sentire?
Alla fine, di fronte a lui il pubblico. Per cinque volte uno scrosciante battito di mani acclama il compositore, per la prima volta sul palco dopo dodici anni.