I sopravvissuti guardano l’assenza

〰️Loro sono i morti?

no, sono quelli che rimangono.

〰️Che cosa guardano?

Osserva. Dove cade il loro sguardo?
Al centro, nel vuoto.
I sopravvissuti guardano l’assenza.

Chi resta continua a guardare là,
dove stava chi non è più.

Eppure guarda: dall’altra parte anche loro, i morti, continuano a guardare in direzione degli altri. I loro sguardi continueranno a trovarsi e incontrarsi al di là della linea che li divide.

Sai perché? Per amore.
Per amore si attraversano mondi. Per amore si attraversa il tempo, per amore si ricorda e sul ricordo si costruiscono vite intere; si odia, persino. Si combatte e si muore, di nuovo. Per amore si resta, anche se questo dovesse voler dire morire di nuovo.

〰️Perché le facce non si vedono?

Perché i visi se li porta via la morte. Il tempo si porta via le voci e i dettagli. Non sappiamo più sono stati. Non possiamo ricordare ma nemmeno dimenticare. I loro capelli, il modo di parlare, lo sguardo, il sorriso: ognuno è un mondo e lo abbiamo perso.

Eppure loro sono ancora qui, sai? Chi se ne va lascia dietro una scia di piccole impronte: sono scritte nei baci che ci siamo dati, nelle parole dette e nelle idee, negli abbracci, nelle azioni, nelle aspirazioni.

Sono sulla nostra pelle, nelle cellule, nei pensieri.

A cucire la Storia è un invisibile microscopico filo arrotolato che abbiamo chiamato Dna e non contiene solo il colore dei nostri occhi, ma anche i sogni, gli amori, le storie e le guerre che hanno fatto vivere e morire chi adesso non c’è più.

C’è un filo infinito che si srotola dall’inizio del mondo a oggi e cuce insieme la fine all’inizio.
Non conoscerai in faccia tante persone che non ci sono più, eppure sono presenti. Sono dentro il tuo cuore e loro lo sanno come lo sai tu: l’ amore sa viaggiare nel tempo.

Il cuore batte anche per gli assenti. Continua a vivere anche per chi non ce la fa.

Sei l’ultimo anello di una catena infinita.
Un giorno sarai grande e ci sarà una nuova generazione dopo di te.

Ogni nuova generazione continua la precedente. Perché le nuove generazioni, le persone che vengono dopo di noi, sono alberi nati dai semi che osiamo lasciar cullare al Tempo.

Abitare il Tempo

Quello che una fotografia non dice è il silenzio del mattino di ottobre e le voci di chi lo abita.
La cucina allegra di Johnny e Maria, il profumo dei primi mandarini dell’inverno da mangiare sullo sgabello nel ripostiglio della legna perché lì c’è la magia dei posti segreti. C’è il sole che scalda le pietre sui gradini e le chiacchiere con il caffè, i progetti per una partenza imminente e quelli per la settimana che inizia, i progetti immaginati e quelli da cucire insieme con le azioni. Gatto Tappo scappa e si nasconde. C’è il campanile e le noci cadute, spaccate così bene da ghiri e scoiattoli.

C’è Gabriele con la nonna Milena a piccoli passi nel sole del mattino, i cancelli da chiudere e aprire perché è il gioco più bello insieme alle onde da creare nella fontana e poi 〰️senti le mie mani come sono fredde. Le galline da osservare in piedi sul muretto. Il giardino di Anna con quella piccola palma che un giorno sarà un albero alto ma chissà quando. La Vince in piedi sulla porta che per un attimo si ferma e sorride, Sergio che ha ancora vent’anni – come sempre – e entra per il caffè ma soprattutto per salutare tutti come ogni mattino. Nel profondo del Tempo l’età non ci conosce, siamo tutti viaggiatori con carte d’identità che non significano niente.

E poi ci sono le undici e quasi il mezzogiorno, c’è Alessandro che tra poco parte, chissà dove, perché la giornata di un autista è ogni volta un viaggio. Marie Jeanne che è guarita dall’influenza, stende i panni al sole e si prepara al suo lungo breve viaggio per tornare in Toscana, da Pieve a Pistoia e poi in treno fino a Firenze – con il treno e in corriera è un andare antico, curva dopo curva si impara davvero com’è fatto il mondo.

Ecco, andare per case, per strada, per cortili segreti e aie deserte, andare attraverso le persone. Di questo siamo fatti e con questo intrecciamo di senso i fili che tessono il viaggio della vita. I paesaggi sono le persone, sono le voci di chi li abita e percorre.

Ci sono le voci e le case con le imposte già chiuse, o chiuse per sempre. Ci sono voci che ritornano e riempiono le stanze di nuovo, per esempio nei giorni di festa come quello del Ponte che si avvicina, giorni dei Morti e dei vivi che si incontrano di nuovo. Eppure, io lo so, ne sono convinta, c’è un posto dove ci siamo ancora tutti. Tutti insieme. Non importa l’età, se la nonna sarà bambina e come si riconoscerà.
C’è un posto dove siamo e ci sentiamo ancora vivi e continuiamo a essere lì, immersi nel presente del momento, in mezzo a tutto ciò che ancora ci fa fiorire
come rose tardive in un mattino d’autunno.
Appunti sul Tempo

Bologna: Villa Guastavillani

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Oggi le sue aule ospitano i lezioni della Bologna Business School, ma Villa Guastavillani, situata sul Monte di Barbiano, viene fatta costruire dal Cardinale Filippo Guastavillani nel 1575.

Adibita nel 1927 a struttura assistenziale per i bambini di gracile costituzione, nel 1944 è colpita dai bombardamenti aerei nel 1944. Dopo la guerra diventerà un sanatorio per la profilassi antitubercolare.

Nel 1992 il Comune di Bologna acquisisce Villa Guastavillani e nel 1996 la cede all’Università degli Studi di Bologna, che la trasforma in un centro studi.

Villa Guastavillani
Via degli Scalini, 18 – 40136