Neve di maggio

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E te ne accorgi quando se ne va la luce e nel giro di qualche ora non si sa più come fare perché ormai tutto dipende da quello, dal frigo al riscaldamento. La vita è imprevedibile e poi succede che avevi scommesso no e invece girano gli spazzaneve al mese di maggio, ci siamo svegliati con il sole immenso e poi la pioggia e l’arcobaleno e anche la nebbia, tutto nella stessa giornata.
E alla fine è arrivata, mezzo metro di neve.
Giocare a Scarabeo mentre la luce del pomeriggio si trasforma, quel piccolo cane si tuffa nel bianco e ancora non ci crede, la neve è di nuovo più alta di lei.
A me tutto questo fa venire in mente le vacanze e i nonni, la stufa blu a carbone che negli anni è stata sostituita. Il brivido di quelle volte in cui andava via la luce, finalmente si usavano le candele sempre appoggiate sul camino. La luce del fuoco. Il tempo lento, quasi immobile. Il buio dei lampioni spenti.
Sì, la vita è imprevedibile. Non tiene conto dei ritardi, ci ricorda che la nostra pseudo modernità è appesa a un filo. Ci ricorda che basterebbero pochi giorni per mettere in ginocchio città intere. Che il buio è la condizione naturale della notte. Che il tempo non lo comandiamo.
E allora questa luce che va via per ore, ore intere e poi torna bassa bassa, sì mi rendo conto che fa arrabbiare tutti eppure rimette in pace col tempo, strizza l’occhio alla vita. Quanta meravigliosa magia a fermarsi. Quanta incredibile magia a ritrovare il tempo e farci ritrovare dal tempo, meravigliosamente vivi. Insieme a chi ti fa ridere.
E ora buona notte, già che ci sono il telefono lo spengo io.

Neve di maggio, era il 5 maggio 2019 e una potente nevicata controcorrente e contro ogni previsione arrivava, ribelle, a insegnarci di nuovo il senso del Tempo

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Cose che ci fanno sentire ancora meravigliosamente vivi

Correre sotto la pioggia

Il panettone anche se non è Natale

Dopo una mattina grigia, il sole che esce dalle nuvole proprio quando hai finito di lavorare

La campanella dell’uscita da scuola

L’ aroma di caffè

Certe canzoni che ti basta sentirle per essere già altrove

Il rumore del mare

Chiudere gli occhi al sole

Il momento in cui tutto sembra possibile e lo è veramente

L’aria del mattino sulle guance quando cambia la stagione, così croccante, e il fiato un respiro bianco

I giardini che sbocciano in primavera

Il colore dei boschi quando due stagioni si incontrano

L’odore dei gelsomini d’estate in città

Un progetto bello, un libro che scalda il cuore

Stare ore a sognare a occhi aperti

Avere ancora tempo

Abbracciarsi di nuovo

Sorridere a una persona che non avevi mai visto

Il potere della gentilezza

Le luci dell’albero di Natale

Il segno dell’abbronzatura

Un caffè con i propri genitori, nonni e sapere quanto è prezioso

Scendere alla stazione sbagliata

Smontare vecchi lampadari e farne arcobaleni di cristalli

Prendere un bus e vedere tutte le fermate che fa

La pausa pranzo in piscina e fingere un po’ di essere al mare

Ricordarti quanto vale un pomeriggio con chi ami

Fare una cosa che non avevi mai fatto

Crederci davvero in quel vecchio sogno e continuare a chiederti qual è, il tuo sogno di oggi

Il coraggio di andare via. E quello di tornare

Le bolle di sapone

Il giallo del tarassaco e le margherite, millemila sui prati di primavera

Maddalena De Bernardi>>>

… Cose che ci fanno sentire ancora meravigliosamente VIVI…

continua tu, è il gioco di oggi

 

 

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Cosa fare nel non-fare

Il non-fare è un’attitudine zen, un esercizio di vita.

Accade in una mattina qualunque. Mi siedo.
Tu spegni la musica ed è una buona idea.
Il silenzio.

Nel silenzio accadono magie, come nell’ora del silenzio,
quando il sole è a picco e la luce è così forte da fermare il mondo
per un attimo
tutto si placa.

Cosa fare nel non-fare: di come un momento di contemplazione si trasforma meditazione e fermando il tempo sentire la vita e sentendo la vita scoprire cosa vogliamo farne

La meditazione non è immaginazione, dicono.
Al tempo stesso, tante tecniche di meditazione indicano un suono o un’immagine come stimolo da cui partire.
La mente ha bisogno di un focus.
Focalizzare, mettere a fuoco, e nel mettere a fuoco, come nel gesto di chi muove la rotella di un binocolo, entra in gioco il mettere limiti che è necessità visiva. Decido cosa voglio vedere, restringo il campo. Mi con-centro, entro nel cerchio: ci faccio un salto dentro e mi immergo.
Focalizzare implica mettere un limite, trovare dei confini.
.
Anticamente, i sacerdoti e astronomi del mondo etrusco, tracciavano dei gesti nel cielo con il loro bastone sacro. Quella porzione ritagliata dallo spazio del cielo diventava uno schermo dove leggere gli auspici, buoni o cattivi. Si sa molto poco, in verità, di questa civiltà avvolta nell’ombra, eppure è da lì che viene la parola “contemplazione”.

Quando l’Oriente medita, l’Occidente contempla

Immagino un uomo, in piedi davanti al cielo. Inspira, espira. Resta assorto.
In attesa. In attesa di un segno.
Si fonde, per un attimo. Poi torna in sè. fa un passo indietro.
Lui è l’osservatore che osserva la scena. Il messaggio si sprigionerà
all’improvviso, quando ormai non ci stavi più pensando.

Originariamente, la parola contemplazione ci porta al fermarsi: il momento in cui mi fermo è un istante catartico.
Contemplare è anche il gesto solitario di un pastore con la schiena appoggiata a un tronco, con il bosco che lo abbraccia e davanti il gregge che si muove nel riverbero del sole, su un prato infinito. Chiude gli occhi per un attimo, lui. Succhia un filo d’erba.
Inspira, espira.

I pensieri scorrono attraverso la testa, sono mille campanelli che suonano, è una radio piena di voci che non sta mai zitta.
Continua a respirare. Passano i pensieri d’amore e quelli sulla morte, passano i pensieri sulle cose da fare e quelli sull’infelicità o la felicità, scorrono via: sono pesci in una piccola boccia angosciante se ti ci fermi troppo a lungo, sono pesci che guizzano in un oceano immenso, se li vedi e li lasci andare E mentre dico “oceano” e “vasto” anche il respiro si dilata e mi sembra che anche il cuore abbia più spazio, dentro ai polmoni si fa spazio un mare di luce grande e quieto.

Un pensiero che fa paura, o che angoscia, è come un piccolo crampo. Si sente subito, laggiù da qualche parte in fondo al cuore o alla pancia, dentro allo sterno, come un sasso in un piede o la spina di una rosa conficcata nella carne.
Ha un peso specifico importante anche se è piccolo, ogni pensiero d’angoscia.
Esiste, esiste anche questo
paura, angoscia, morte

poi quel pesce scuro e ingombrante, fila via
anche se lo trattenevi con le mani se n’è andato
lontano, ora lo guardi dall’alto
solo una piccola sardina in mezzo a un branco immenso, ecco cos’era

c’è così spazio, fra un pesciolino e l’altro
se mi concentro su quello, sullo spazio
vedo l’acqua
sento l’onda
immensa,
senza limite

è una corrente che trascina,
come il respiro

dentro e
fuori,

come in mare, nell’aria
la corrente entra
onda,
dalla testa ai piedi mi sommerge,
attraverso ogni arteria
va
l’ossigeno
un fuoco che brucia,
pervade di energia
mi illumina

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Tutto per un tulipano: il primo crack finanziario della storia

C’è un nuovo fiore, laggiù in giardino. Spiccava troppo per passare inosservato e io l’ho visto, proprio stamattina. Rosso acceso: tre petali per tre sepali, che in botanica sono le piccole foglie che compangono il calice. Il tulipano è proprio così, un calice che può avere così tanti colori da far girare la testa: rosso, giallo, screziato, rosa e via così, persino nero.

Il tulipano nasconde un segreto. Dietro la sua apparente quiete di fiore si nasconde una vita per niente tranquilla e in parte a rivelarlo è un indizio che si trova nel nome. “Turbante”, la parola “tulipano” significa questo e lui un po’ ci somiglia al sontuoso copricapo, di origine antichissima, che da secoli in Oriente viene creato avvolgendo la testa con una lunga striscia di tessuto colorato. La parola “tulipano” viene dalla lingua turca: tülbent, turbante. In effetti, è dalla Turchia che per la prima volta sono stati esportati i tulipani.

Fu su una delle navi che regolarmente attraversavano i mari, da Oriente a Occidente, che un giorno intorno al 1560 sbarcò nelle terre d’Olanda il tulipano. Fu subito sorpresa. Stupore, meraviglia, per quel bulbo (perché il tulipano nasce da un bulbo, sai?) simile a una cipolla, capace di fare un fiore così bello, così colorato e resistente. Chissà perché se ne innamorarono tutti e fecero subito a gara per avere bulbi di tulipano.

Nel giro di qualche anno i giardini olandesi iniziarono a riempirsi di tulipani e la richiesta continuò a salire. Tulipani da modulare come uno spartito nelle aiuole coloratissime, tulipani da trasformare in bouquet, regalare alle signore e lasciare in tavola come decorazione: non c’era persona che non volesse un bel tulipano colorato. In breve, avere un tulipano divenne sinonimo di prestigio, rispettabilità, fortuna tanto che divenne persino moneta di scambio.

Con i bulbi di tulipano si potevano scambiare merci, animali o addirittura, nel momento di massima fortuna, case e terreni. Venne chiamata tulipomania, era il 1620 e i prezzi dei bulbi di tulipano continuavano a crescere fino a raggiungere cifre impossibili. Secondo i documenti dell’epoca un bulbo arrivò a valere oltre 200 fiorini (il reddito medio di un lavoratore ammontava a circa 150 fiorini all’anno). Proprio nel 1635 venne pagata la cifra più alta mai sborsata prima d’ora per un bulbo di tulipano: centomila fiorini per 40 bulbi, 2500 fiorini per un bulbo. Una cifra enorme se pensiamo che per cento fiorini si poteva comprare una tonnellata di burro.

Il “commercio del vento”, così si chiamava, regolava l’acquisto e la vendita di bulbi che si era appena piantato o, addirittura, che si aveva l’intenzione di piantare ma che ancora non erano sbocciati. Oggi in finanza si chiamerebbero “futures”, cioè contratti a termine che impegnano alla compravendita acquistando un certo prodotto alla scadenza e a un prezzo fissato in precedenza. Annullare l’impegno è impossibile.

Ma un bulbo non è un fiore. In mezzo c’è la distanza che separa un seme dalla pianta adulta: c’è il sole, la pioggia o la grandine, l’attesa. In mezzo c’è il potere del tempo, che in parte è quello atmosferico, ma è anche il grande Tempo che ci accompagna tutti e rende la vita piena di incognite, svolte e avventura, perché sovverte il prevedibile e trasforma ogni giorno in un viaggio nell’imprevedibile.

Dopo aver raggiunto il prezzo capogiro di cui dicevamo prima all’ asta di Harlem, cittadina poco distante da Amsterdam, i commercianti di tulipani iniziano a vendere e sono costretti a svendere. La cifra massima era stata raggiunta, il mercato crolla. All’improvviso nessuno sembra più volere tulipani. La follia lentamente inizia a regredire: ci si sveglia, come da un brutto sogno e la sensazione è quella di uscire dalla bolla di un incantesimo.

A distanza di secoli la crisi finanziaria del 2007-2008 farà ripensare alle modalità di questo primo incredibile crack finanziario della storia: la bolla dei tulipani. Ma questa è un’altra storia…

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Torna il cucù

all’improvviso
stamattina

cucù… cuucù

è tornato a farsi sentire, come ogni primavera
il suono proviene dallo stesso punto in cui si sente da sempre,
un posto imprecisato fra gli alberi, oltre i meli in fiore nel prato di fianco alla chiesa
uno spazio d’aria custodito dalle montagne,
così verdi in questa stagione che rinasce

torna il cucù,
cucco cucù cuculo

«Canta il cucco sulla quercia nera
ricordati padrone che è primavera»
recita un detto antico dell’Italia del sud,
il suo canto dice che è primavera.
Nella Germania contadina di secoli fa
quando il cucù si sentiva di nuovo cantare
per chi lavorava la terra
era tempo di ricevere fondi per le campagne

è il tempo dell’amore
quello segnato dal cucù,
forse anche quello dei cucù di legno.
Abbiamo creato un segna tempo per ricordarci che
del movimento del Tempo
solo
vale la pena
quello che
ticchetta l’amore

il cuculo con il suo canto segna il territorio
tenetevi alla larga, dice.
Deporrà un uovo, simile agli altri di cui invade il nido
poi se ne va, senza l’impegno di crescere i piccoli o scovare cibo

solitario
all’inizio dell’estate
vola già
sulle rotte dei cieli d’Africa

solo, sì
solo. Perché il cuculo migra da solo
solo arriva, all’inizio di primavera
solo se ne va, all’inizio dell’estate.
I piccoli, ormai giovani uccelli adulti
se ne andranno alla fine dell’estate
attraversare il mare per la prima volta mentre l’autunno inizia,
soli anche loro
con una mappa che non sanno di sapere,
imparata chissà come dalla misteriosa saggezza del dna

dalla mattina all’alba fino a sera
canta il cucù. E nelle campagne un tempo si diceva
non si sa quanti anni viva
– vecchio come un cucco –
un numero incalcolabile di tempo,
forse perché da soli
si perde il conto
degli anni.

Chissà se è stato il suo fischio a
ispirare
uno dei primi giochi dell’umanità
il cuco.

Impastati nella terra, cotti nei forni d’argilla
cuchi antichissimi
ritrovati nelle tombe di bambini nati millemila anni fa,
nell’antica Grecia
e poi in Inghilterra
cuchi messi nella cappa del camino,
in segno di buona sorte
un cuco nella culla dei neonati, tradizione bavarese
affinché l’aria si faccia melodia di vita e
gli spiriti del male scappino via,
così si racconta al Museo dei Cuchi di Cesuna,
frazione del comune italiano di Roana, in provincia di Vicenza

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10 aprile

è il 10 aprile. Un ragazzo cammina per la strada, con la mano sposta la falda del cappello per coprirsi gli occhi dal sole. Si accende una sigaretta e sorride, guardando i palazzi, il sole, la gente in questo inizio di anni Venti, burrascoso ed eccitante.
oggi viene pubblicato a NewYork “Il grande Gatsby”, scritto da Francis Scott Fitzgerald: è il 10 aprile 1925. Chissà che tempo faceva a New York. Sono passati (quasi) cento anni.
Siamo di nuovo in un turbinante inizio degli anni Venti, all’inizio di un altro secolo
siamo ancora qui. Sognatori scavezzacollo, inquieti, frementi
scontenti cercatori di felicità,
inquieti dissenti
visionari
stanchi del vecchio mondo
immaginando
il futuro
di nuovo

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I bambini sono lenti

i bambini sono lenti,
ci mettono tantissimo
a infilare un piede nella gamba giusta del vestito, a andare da un posto all’altro o
scendere le scale
barcollanti come sono,
distratti
si fermano a guardare un fiore
un sasso, qualcosa fuori asse
attira l’attenzione
i bambini rovesciano i piatti,
si sporcano
maldestri
inciampano,
si fermano quando non dovrebbero
vogliono solo giocare
scoppiano a ridere quando tu urli
per fortuna ci siamo noi,
noi adulti
a fare fretta, a incalzarli,
a dire di non perdere tempo
e sbrigarsi
ricordare la disciplina
l’importanza della serietà

I bambini sono lenti,
si fermano a guardare ciò che non dovrebbero.
Maldestri, fanno cadere e rompono,
inciampano.
I bambini
vanno
contro corrente e
contro ogni logica.
Ribelli nati,
ci insegnano
il potere della bellezza

– In effetti a ben pensarci per uno che viene dallo spazio deve essere molto buffo lo spettacolo di una faccia quando è arrabbiata, si accartoccia tutto e diventa un po’ come quelle maschere delle tribù africane, con occhi immensi e spalancati, la bocca gigante, una caverna, pelle paonazza e l’aspetto truce da teatro –

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