Perdersi in Garfagnana

Al passo delle Radici San Pellegrino in Alpe è il valico che separa Emilia Romagna e Toscana, provincia di Modena e Lucca. C’è un cartello a ricordarlo proprio nel punto al crocevia dove la selva romanesca si apre. C’era un bar, uno di quei posti di legno e quella vecchia atmosfera di una volta, scampata al passato, con il bancone alto e i tavolini che socchiudevo gli occhi ed ero ancora in un tempo fatto da altri anni, cartoline in bianco e nero. Adesso la porta è sprangata, ha chiuso da un paio di anni.
Dietro la curva c’è san Pellegrino, se te lo lasci alle spalle e tieni la destra segui l’indicazione per Lucca e inizi a scendere. Giù, giù, curva dopo curva, come Alice quando cade nella tana del Bianconiglio attraverso il vuoto e le strade costruite, pezzo per pezzo, da chi su queste strade ci sputa sudore, catrame e fatica
terrapieni, argini
a combattere contro le frane e il rumore del Tempo che passa e sconquassa, abbatte, logora.

La provinciale 72, ex statale 324, mette in comunicazione la Garfagnana toscana e il tratto modenese dell’Appennino, la valle del fiume Secchia che nasce alle pendici dell’Alpe di Succiso e si tuffa nel Po dopo un lungo viaggio dalle sorgenti di montagna fino alle città di pianura. Da Montefiorino la provinciale 32, che si snoda lungo la via per Frassinoro, incrocia al Passo delle Radici la statale 486 che arriva da Modena passando per Sassuolo e la statale 12, da Pavullo nel Frignano. Tutte qui, una rete che fa un nodo: si congiungono con la vecchia 324 a Imbrancamento e questo nome dal suono importante e vagamente inquietante, dentro ha il suono di mille campanacci e urli, chiasso e caos: a questo incrocio i pastori diretti nelle terre toscane riunivano le pecore in un unico gregge prima di passare al di là.

Adesso ci sei, in una manciata di km segui la linea che si fa strada fra gli alberi. Un po’ più in là, sul fondo di questo imbuto magico di montagna che scende, troverai piccoli paesi e campanili e campi al sole. Intanto la luce del tramonto fa risplendere il profilo delle Apuane sullo sfondo, accidentate come un coltello seghettato, irregolari e belle, così strafottenti e segrete con le loro storie che appartengono a un altro territorio, fatto di una parlata e leggende diverse, che oggi sembra tutto vicino ma un tempo, a piedi e con gli animali, erano giorni di viaggio, notti all’addiaccio, luna e stelle sulla testa, respiro di freddo del vento di notte. Intanto il tramonto si fa rosa, arancione, viola indaco.

La strada provinciale 71, i patriarchi di Pratofosco: tre vecchi figuri che noterai per la saggia imponenza, li incontrerai seguendo il sentiero dopo una quarantina di minuti. Immersi nel silenzio, Castagno di Pratofosco, Faggio degli Stefanelli, 180 anni stimati, e Castagno del Volpiglione, albero monumentale della venerabile età fra 500 e 600 anni. Tu pensa, aver vissuto e sentito sulla pelle cinquecento inverni, essere morti cinquecento volte e rinati in estate, provato di nuovo le mille foglie che ti riempiono le braccia di verde e aver detto addio per cinquecento autunni, mentre tutto il mondo cambiava e lentamente scompariva. Lì vicino il piccolo oratorio di Boccaia, una preghiera nel silenzio, e giù sempre più dopo la curva ecco la frazione di Chiozza, con la torre campanaria nel centro del borgo e il fiume Esarulo, sull’antica via Vandelli, dove era un castello che oggi non esiste più e già nel 952 si menzionava questo centro abitato che ancora sopravvive. A Mozzanella, che nel Seicento venne distrutto dagli Estensi con un incendio, scorre il torrente Corvino e gli atti dell’archivio arcivescovile di Lucca raccontavano di un eremo di frati agostiniani. La montagna, il profilo delle rocce. Terra, prati infiniti che cambiano colore durante le stagioni dell’anno; boschi, alberi, case di pietra e legno, il ritmo lieve di una pace secolare. Dopo Castiglione di Garfagnana, incastonato su un contrafforte fra castagni e faggi, il ponte medievale dei Molini, un arco a sella d’asino nel verde del dirupo, visto dall’alto.

Castelnuovo di Garfagnana è a qualche chilometro, sempre dritto, tu vai a destra, direzione Aulla. Si cammina in bilico in un magico incrocio fra Garfagnana e Lunigiana, là dove fra poco si aggiungerà, a poca distanza, un’altra provincia ancora: La Spezia. La regione Liguria e i suoi borghi sono lì, tu non lo pensavi possibile invece sei a un centinaio di km da Modena e ottanta da La Spezia. Pieve Fosciana, Pontecosi, Villetta, Sillicagnana, San Romano in Garfagnana e Fortezza Verrucole, con la passeggiata che guarda tutto dall’alto, e poi Piazza al Serchio, con la locomotiva al centro, proprio lì in mezzo alla strada e alla piazza, una locomotiva a vapore memoria delle ferrovie – vennero costruite cinquanta locomotive come questa fra il 1922 e il 1923 – che una volta prestava servizio sulla linea Aulla Lucca connettendo Valle del Serchio, nel versante della Garfagnana, e Valle dell’Aulella, Lunigiana. Intorno castagni, faggi e cerri, è il Parco Naturale dell’Orecchiella, dove si nascondono cervi e caprioli.

Nella località Rimessa di Agliano, proseguendo lungo la provinciale 51, ecco che ti affacci sul Lago di Gramolazzo. Insieme al Lago di Vagli, famoso per essere il paese sommerso, si tratta di un bacino artificiale creato nel Novecento per lo sfruttamento di energia idroelettrica da parte della SELT Valdarno, oggi Enel. Ci sono le canoe sul Lago di Gramolazzo, si pesca e si nuota. La mattina inizia pigra, con la passeggiata sul bordo lago e la spiaggia di sassolini, fra le dita dei piedi pesciolini che guizzano via leggeri. A parte il camping c’è una piccola spiaggia libera all’inizio del paese. Se giri l’angolo, proprio prima del ponte, c’è il piccolo bar di Vittoriano che fa anche da osteria. Mentre aspetti da bere guarda a destra e vedrai, appesa al muro, una fotografia in bianco e nero incorniciata. Facce felici, giovani e rotonde, piatti di spaghetti: è il 31 dicembre del ’64, il primo giorno in cui si inaugurava il ristorante, in occasione del matrimonio di una cugina. Anche se in realtà è da ancora prima che si dà da bere e da mangiare perché c’era già un negozio di alimentari negli anni Trenta, era del nonno di Vittoriano, il papà della ragazza che si vede nella foto e ora è di là in cucina, seduta in questo luglio di cinquant’anni dopo, a guardare la vita che passa. Fuori, nel giardino inselvatichitico dal tempo, due mosche legnaiole dalle ali azzurre e un macaone, quelle farfalle dalle ali bellissime con i disegni geometrici bianchi, gialli e neri. L’odore forte della menta selvatica invade tutto: ce ne portiamo via qualche radice e vediamo se nascerà.